ROMA – Presentato oggi, al 36° Congresso della Società Europea di Riproduzione Umana e di Embriologia (ESHRE), la tecnica Ascot illustrata dall’Istituto Valenciano di Infertilità di Roma (IVI), diretto da Daniela Galliano. Si tratta di uno studio innovativo che consente anche alle donne affette da insufficienza ovarica prematura, di età inferiore ai 40 anni, di tornare a sperare in una maternità.
La tecnica ASCOT consiste in una trasfusione di cellule staminali nell’arteria ovarica si tratta di un procedimento molto meno invasivo e complesso che può essere eseguito presso qualsiasi clinica autorizzata.
Un’ulteriore grande scoperta segnala come questa tecnica favorisca lo sviluppo dei follicoli. In alcuni casi le pazienti hanno visto ricomparire il ciclo mestruale, con conseguente riduzione della sintomatologia tipica della menopausa
Si calcola che 1 donna su 100, di età inferiore ai 40 anni, presenti insufficienza ovarica prematura. Tale cessazione prematura dell’attività ovarica è uno dei peggiori quadri per quel che concerne le prospettive di procreazione, dato che in questi casi non è neppure presente il ciclo mestruale. Oggi, la pubblicazione dello studio “Bone marrow derived stem cells restore ovarian function and fertility in premature ovarian insufficiency women. Interim report of a randomized trial: mobilization versus ovarian injection”, condotto dalle dottoresse Sonia Herraiz, ricercatrice della Fondazione IVI-IIS La Fe e Nuria Pellicer, ginecologa dell’Ospedale La Fe di Valencia, fa ben sperare chi è affetto da insufficienza ovarica.
“Il procedimento è alternativo alla somministrazione di cellule staminali, pratica abituale nelle fasi precedenti del presente studio, e lavora invece sul favorire l’afflusso delle cellule stesse verso le ovaie in modo che possano esercitarvi gli effetti positivi. In entrambi i casi, trasfusione delle cellule o semplice mobilitazione, la cellula staminale rilascia i fattori di crescita che stimolano le cellule del tessuto in cui si trova a crescere, proliferare o rigenerarsi. Nel caso della branca di studio della sola mobilità, si tratta di un procedimento meno invasivo perché non viene praticata la trasfusione di cellule, ma si fa in modo che le cellule raggiungano l’ovaio compromesso” spiega la Dott.ssa Pellicer.
Questo lavoro, presentato nell’ultima edizione dell’ESHRE ha permesso di ampliare la popolazione di studio, prima limitata a donne con bassa risposta, includendo la casistica di donne di età inferiore ai 40 anni con insufficienza ovarica prematura. Oggi dunque, per questo gruppo di pazienti, che finora non aveva alcuna opzione di arrivare alla gestazione con ovuli propri, si prospettano nuove possibilità.
La riserva ovarica è costituita da follicoli primordiali, denominati “dormienti” (sono follicoli molto piccoli che si situano nelle ovaie nel momento in cui l’organo è in formazione e che costituiscono, appunto, la riserva ovarica). Ogni mese vengono attivati circa 1.000 follicoli della riserva i quali passeranno per tutte le fasi di sviluppo fino ad arrivare allo stadio di ovulo maturo, in un processo che richiede vari mesi. Lungo questo processo di sviluppo avviene una degenerazione dei follicoli in maturazione, fino a quando ne restano solo uno o due.
“Con questa tecnica i follicoli che, in presenza di ovaie compromesse, sarebbero destinati a non attivarsi o a degenerare nelle prime fasi della maturazione, vengono aiutati ad arrivare allo stadio di ovulo maturo attraverso la rigenerazione dell’ambiente o del micro-ambiente in cui devono crescere e svilupparsi. Tutto questo processo viene realizzato all’interno delle ovaie”, precisa la Dott.ssa. Daniela Galliano, Direttrice di IVI Roma.
Gli studi finora realizzati si sono limitati alla trasfusione di cellule staminali direttamente nelle ovaie. I recenti risultati preliminari osservati con questo studio indicano che potrebbe non essere necessario trasferire le cellule staminali nelle ovaie; grazie infatti a un procedimento molto meno invasivo e complesso, che si presta all’applicazione presso qualsiasi centro sanitario, le cellule staminali e relative secrezioni riescono a raggiungere le ovaie attraverso il sistema circolatorio.
“Puntiamo a sviluppare una tecnica meno invasiva possibile e standardizzata in modo da poterla implementare in tutte le nostre cliniche e offrire a qualsiasi donna che lo desideri la possibilità di raggiungere il concepimento, anche quando le condizioni fisiche sono sfavorevoli o avverse, se non con l’intervento risolutivo della scienza, come nel caso dell’insufficienza ovarica” aggiunge la Dott.ssa Pellicer.
Lo studio, ancora in via di sviluppo, è suddiviso in due branche: una limitata alla tecnica ASCOT, ovvero la trasfusione di cellule staminali nell’arteria ovarica (che si fonda su motilità di cellule, estrazione e posteriore trasfusione diretta nelle ovaie) e l’altra branca, meno invasiva, egualmente basata sulla mobilitazione delle cellule ma in questo caso mirata a ottenerne l’afflusso spontaneo alle ovaie attraverso il flusso sanguigno, allo scopo di osservare se i risultati raggiunti sono comparabili a quelli ottenuti con prelievo e trasfusione.
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