ROMA – Dopo il referendum delle trivelle arriverà a ottobre quello più impegnativo sulla Riforma Costituzionale. Non sappiamo quanto avrebbe influenzato il risultato referendario dello scorso 17 aprile se l’incidente della fuoriuscita di greggio in Liguria di questi giorni fosse accaduto prima di andare alle urne. Probabilmente avrebbe avuto un esito diverso sulla spinta del grave fatto di cronaca. Da più parti è stato detto che i cittadini erano poco informati. E’ per evitare che anche nel referendum costituzionale ci sia la stessa preoccupazione che le ragioni non arrivino ad una larga fetta di cittadini che 50 tra i più noti costituzionalisti italiani hanno sottoscritto un documento per iniziare a parlarne.
Sebbene la decisione di riformare alcune parti della nostra vecchia Costituzione nasca “da condivisibili intenti di miglioramento della funzionalità delle
nostre istituzioni”, si legge nel documento,¨ sembrerebbe essersi tradotta in “una potenziale fonte di nuove disfunzioni del sistema istituzionale”. I firmatari smontano pezzo per pezzo il
testo approvato dal Parlamento e avviato al giudizio popolare
per ottobre. Tra i firmatati spiccano nomi di prestigio come Valerio Onida, Gustavo
Zagrebelsky, Ugo De Siervo e Francesco Paolo Casavola che rappresentano una fetta consistente del mondo accademico. Il documento dei costituzionalisti fa una premessa di non essere “fra coloro che indicano questa riforma come l’anticamera di una sorta di nuovo
autoritarismo”. Insomma prendono le distanze da qualsiasi strumentalizzazione politiche e vogliono invece porre l’accento sulle criticità del disegno di riforma.
Innanzitutto, “l’obiettivo, pur largamente condiviso e condivisibile, di un superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto” secondo i firmatari è stato perseguito “in modo incoerente e sbagliato perché si creerebbero una pluralità di procedimenti legislativi
differenziati con rischi di incertezze e conflitti”. Il
Senato, peraltro, spiegano ancora i costituzionalisti risulterebbe indebolito e senza poteri effettivi nell’approvazione di molte leggi rilevanti per l’assetto regionalistico. La preoccupazione e che il Senato non sarebbe realmente rappresentativo delle Regioni ma dei gruppi di partito. Ma ciò che più viene recriminato dalla stesura del disegno di legge di riforma è che si procederà a cambiare il più importante asset del Paese con un voto a maggioranza e non con un consenso unanime che guarda al futuro del Paese.
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