Editoria, "Napoli Civile" il saggio di Michele Rak sulla cultura che si affermò nella vita sociale del Regno
- di RED-ROM
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(PRIMAPRESS) - ROMA - Nel corso del Seicento a Napoli c’è una trasformazione sociale caratterizzata dal basso. E’ il popolo civile che in una articolazione emergente quanto complessa , si appropria della conoscenze della Modernità: i libri, i musei, le accademie, la filosofia naturale, il diritto, le scienze applicate, la medicina, le arti visive. E’ quanto afferma lo scrittore e storico Michele Rak nel suo ultimi libro “Napoli Civile” pubblicato nella collana Sabir dell’editore Argo. “Il Popolo Civile - scrive Rak - si impadronisce dei dirompenti strumenti per comunicare con le folle cittadine - il teatro, le feste, la letteratura, la musica, la pittura e le calcolate e creative devianze del Barocco - ravvivando e manipolando anche culti e tradizioni delle comunità più antiche”. Nel corso del secolo i suoi letterati e curiosi occupano sempre più articolati spazi sociali e politici e si propongono come protagonisti della vita sociale del Regno. “Alla fine del secolo le loro élite - osserva ancora Rak - sono in grado di chiedere la partecipazione al potere politico, al di là del violento ma periclitante controllo delle truppe spagnole, delle comunità religiose, dei mercanti e banchieri fiorentini e genovesi. Il percorso di questo aggregato sociale si accentua a medio Seicento anche attraverso tre crisi – il terremoto del 1631, la rivolta di Masaniello del 1647, la peste del 1656. Questi tre eventi destano l’attenzione di centinaia di osservatori dei paesi europei, producono un’incredibile quantità di testi – storici, politici, fisici, filosofici, medici, letterari, teatrali, teologici, profetici - alterano la composizione sociale della città. Nella sottintesa metafora che si avvicina ai nostri giorni, lo storico dipinge con il suo “Napoli Civile” un affresco di trent’anni di crisi che consentono al Popolo civile di raffinare i suoi studi e la sua etica, di intensificare i contatti con i ricercatori europei e perfino di chiedere, nelle sale del Palazzo reale, un proprio ruolo nella gestione dello stato.
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