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Dopo l’Austria anche la Spagna dà corso alle alleanze di Governo che sembravano impossibili. Sanchez unirà socialisti, sinistra e nazionalisti

MADRID – La Spagna si avvia ad avere, per la prima volta nell’era democratica del dopo-Franco, un governo posizionato a sinistra. Lo guiderà Pedro Sanchez e sarà formato dall’alleanza fra i suoi socialisti e la sinistra antisistema di Podemos di Pablo Iglesias, più i nazionalisti baschi del Pnv. 
Dopo mesi di impasse e quattro elezioni anticipate in quattro anni, è stata permessa dalla sinistra indipendentista catalana dell’Erc, il cui Consiglio nazionale ieri sera ha approvato a stragrande maggioranza il voto di astensione dei suoi 13 deputati. E che consentirà a Sanchez di avere la maggioranza al voto di fiducia (che in Spagna si chiama “investitura”), calendarizzato il 7 gennaio.  Ma l’astensione avrà un prezzo politico: il riconoscimento del “conflitto catalano” come “politico”, e non più solo come crimine istituzionale. Conflitto che andrà quindi risolto con un “tavolo negoziale bilaterale”, che non preveda “veti” su alcuna proposta, come è scritto nero su bianco nell’accordo Erc-Psoe, di cui il quotidiano El Pais ha anticipato il testo. Quindi, si presume, neanche un’eventuale riproposta del “referendum sull’autodeterminazione” della Catalogna, dopo quello unilateralmente convocato dalla Generalitat di Barcellona e finito con una sequela di arresti e condanne, tra cui quella del leader dell’Erc, Oriol Junqueras. I repubblicani catalani hanno chiesto che il tavolo abbia come condizioni che il negoziato sia fra ‘governi’, non abbia preclusioni o argomenti tabù e abbia invece un calendario di lavori.  Concessioni non da poco strappate ai socialisti di Sanchez, che nella campagna per le elezioni politiche di novembre avevano ostentato intransigenza nei confronti dell’indipendentismo catalano, che diventò il maggiore ostacolo a un accordo preelettorale con Podemos, favorevole ad una apertura politica. Un prezzo del quale Sanchez sarà chiamato a rispondere politicamente dall’opposizione: dal Partido popular (Pp), fautore dell’intransigenza ‘giustizialista’, dai centristi di Ciudadanos, per non parlare dell’ultradestra di Vox, che deve gran parte dei suoi 52 seggi in Congresso, la Camera bassa del parlamento spagnolo, alla sua totale opposizione a qualsiasi disunità della Spagna.  Il Paese ora si avvia ad avere, per la prima volta nell’era democratica del dopo-Franco, un governo decisamente spostato a sinistra, per formare il quale non bastavano da soli i seggi dei socialisti e di Podemos, che assommano a 155 su 350 deputati. I 13 astenuti dell’Erc e i 7 del Pnv non bastano ancora per la maggioranza di 176 richiesta per passare il primo voto di fiducia, in programma nel fine settimana. Ma è previsto che passi il secondo, il giorno dopo l’Epifania, in cui sarà richiesta la maggioranza semplice. 

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