ROMA – Nella Giornata Mondiale della Libertà di Stampa, proclamata oggi 3 Maggio dalle Nazioni Unite, la corona da sgranare per i fatti di cronaca cha hanno visto mortificata la libertà di stampa e perseguitati i giornalisti, sarebbero veramente tanti ma uno per tutti si coglie l’occasione della visita di Svetlana Tsikhanouskaya, l’ex candidata alle presidenziali bielorusse dello scorso anno che nei giorni scorsi era stata invitata ad una audizione presso la Commissione Esteri della Camera e oggi all’Istituto Affari Internazionali a Roma. Perché lei? Perché la sua vicenda di leader del movimento di opposizione all’uomo forte di Minsk, il presidente Lukashenko rieletto al comando del paese, è stata caratterizzata da una violenta repressione durante e dopo le elezioni dell’estate scorsa. Svetlana ha dovuto chiedere asilo in Lituania prima ancora degli esiti delle elezioni e per la forte repressione esercitata nelle piazze della Bielorussia contro i manifestanti che chiedevano libere elezioni.
La Tsikhanouskaya ha raccontato a Nona Mikhelidze, responsabile del programma Europa Orientale e Eurasia dell’Istituto Affari Internazionali, che: “La nostra mobilitazione in Bielorussia continua. Speriamo nel dialogo con il regime: contiamo negli aiuti dell’Europa che faccia pressioni su Lukashenko. Le proteste e i movimenti non sono scomparsi. Dice ancora Tsikhanouskaya – A volte mi rendo conto che le persone fanno confusione con il termine protesta, con il significato del termine protesta, perché le manifestazioni sono parte dei movimenti di protesta. Lukashenko, con l’aiuto delle armi, e di manganelli e violenza è riuscito a reprimere le manifestazioni, ma non è riuscito a reprimere il fuoco di protesta della maggior parte dei bielorussi. In tempi di grande repressione, i cittadini devono essere più creativi, più inventivi, cercano nuovi modi per opporsi al regime, su Internet, segretamente, di nascosto, ma devono far vedere che siamo ancora qui, che stiamo ancora protestando con la disobbedienza pubblica, con diversi flashmob e segnali che dimostrino che stiamo combattendo, e questo è molto dannoso per il regime. No, forse dannoso non è la parola giusta; diciamo che li irrita. Non sanno più chi mettere in prigione per fermare la mobilitazione. Non si rendono conto che questo è il movimento delle persone, e anche se ne metti in prigione a centinaia, il movimento continuerà. Anche se incarceri i leader, e le figure più in vista, il movimento continuerà. Questa è la nostra forza”.
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