ROMA – A distanza di 40 anni dall’ultima grande retrospettiva, torna alla Galleria Nazionale, una mostra su Giacomo Balla. Il museo capitolino dispone di un consistente nucleo di opere dell’artista che furono donate delle figlie di Balla che furono il fondo principale del movimento futurista con cui fu realizzata la mostra del 1971.
I 35 dipinti donati da Elica e Luce Balla nel 1984 (pratica definita nel 1988), comprendono alcuni capolavori, quali La pazza (1905, dal Polittico dei viventi), Affetti (1910); e, inoltre, opere chiave del periodo futurista, di cui la Galleria nazionale era priva, quali le due tavolette delle Compenetrazioni iridescenti (1912), gli studi sulla velocità, le Dimostrazioni interventiste (1915), i dipinti degli anni venti di ispirazione spiritualista, fino a comprendere l’ultima produzione figurativa, all’epoca ancora poco studiata, venendo così a colmare le lacune della collezione della Galleria nazionale. Nel 1994 (definita nel 1998) Luce Balla indicava la Galleria quale destinataria di un ulteriore gruppo di opere, affidando a Maurizio Fagiolo dell’Arco l’incarico di selezionarle tra dipinti, disegni, studi. Fra questi, sono compresi lo schizzo Appunti dal vero sul quadro “Fallimento” (1902), Ritmi di un violinista (1912) e il progetto di allestimento per Villa Borghese. Parco dei Daini, il grande polittico acquistato nel 1962 dall’ambasciatore Cosmelli.
La mostra che si apre alla Galleria Nazionale, a cura di Stefania Frezzotti, espone per la prima volta insieme le opere provenienti da entrambe le donazioni, offrendo così l’occasione di una rilettura essenziale, ma efficace, del percorso di Balla attraverso opere significative dei momenti salienti della sua attività: dalla fase pioneristica del primo decennio del novecento, quando Balla individua nel divisionismo e nella fotografia il linguaggio del moderno, attraverso poi le ricerche sulle dinamiche del movimento e della velocità; dagli studi per motivi decorativi e per le arti applicate, fino alla lunga stagione di adesione ad un suo personalissimo realismo e di ritorno ai temi a lui cari del paesaggio romano, del ritratto, degli affetti familiari.
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