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Unite civilmente ora minacciate ed insultate

Simona Deidda e Stefania Mocci si sono unite civilmente il 1 ottobre aDomusnovas, un Comune in provincia di Carbonia Iglesias nel sud della Sardegna. A celebrare il rito fu il sindaco Massimo Ventura.

La trasmissione Stato Civile di Rai3 ha dedicato loro parte della prima puntata, ritrasmessa il 26 dicembre. Da quel giorno la coppia sarda è stata vittima di cyberbullismo con pesanti minacce ed insulti omofobi e di attacchi mediatici da personaggi come Mario Adinolfi, perché la figlia di Stefania, Desireè di 12 anni, avuta da un precedente matrimonio, vive con le due donne in quella che orgogliosamente la coppia chiama “famiglia arcobaleno”. Hanno dovuto anche bloccare il profilo twitter Husteron proteron che aveva il logo de Il Popolo della Famiglia.

“E’ inquietante – sostiene il presidente nazionale Mario Marco Canale di Anddos –  la notizia riportata ieri da Adnkronos sollevata dal quotidiano PRIDE Online che denuncia le incredibili minacce sul web ricevute da Simona e Stefania, una coppia protagonista della trasmissione “Stato Civile”. Il discorso d’odio sul web è una delle ultime frontiere che ci troviamo ad affrontare nella lotta alle discriminazioni, come dimostra anche il recente incontro con associazioni ed istituzioni promosso dal ministro Oralndo. Le parole sono pietre: “urlare” sui social a due persone che andrebbero fucilate per la loro omosessualità è il modo migliore per generare sofferenza e per armare la mano dei violenti. L’Italia ha bisogno di riprendere seriamente un dibattito sulle discriminazioni e sull’estensione della legge Mancino-Reale anche all’uomo-transfobia, superando la proposta limitata e inefficace che giace da tre anni in Senato. La libertà di espressione è per noi un valore inestimabile, così come lo è anche il diritto di ogni persone di vivere, liberamente, la propria identità, la propria vita, i propri amori. Tra la libertà di parola e l’incitazione all’odio, il diritto internazionale, le Nazioni Unite e l’Unione Europea hanno stabilito da tempo un confine ben preciso. Nel nostro Paese, come in pochi altri ormai del mondo che può definirsi democratico, si fa fatica ad applicare questo concetto anche al discorso d’odio contro le persone LGBTI. Ribadiamo, pertanto, la nostra disponibilità a collaborare con il ministero della Giustizia per monitorare con attenzione l’impatto del discorso d’odio omofobo sulla nostra base associativa e sulla comunità LGBTI. Per la prima volta, infatti, il ministero ha mostrato di voler affrontare il tema del discorso d’odio dal punto onnicomprensivo dei diritti umani, includendo quindi il razzismo, il sessismo, le discriminazioni culturali e religiose e l’omotransfobia. Confidiamo, quindi, anche  in un impegno del ministro per riaprire un percorso politico che muova in questa direzione”.

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