ROMA – L’autopsia dei medici legali qui in Italia sul corpo di Giulio Regeni, il ricercatore universitario barbaramente ucciso in Egitto, ha su di sé i segni della tortura che sarebbero riconducibili a tecniche di tipo militare. Martedì il corpo di Giulio sarà sepolto, nella sua Fiumicello dove oggi si è celebrata una messa. Mentre si ragiona sull’opportunità di funerali di Stato su decisione del Presidente del Consiglio, lo sgomento e la rabbia hanno preso il sopravvento per la difficoltà di venire a capo delle modalità di questa morte violenta. Gli investigatori italiani che erano volati nella capitale egiziana al momento hanno raccolto poco o nulla per la scarsa collaborazione della polizia locale ma a quanto pare anche dei livelli più alti. Al Ahram, storico quotidiano egiziano su posizioni filo-governative, sostiene che prima di sparire Regeni si fosse recato alla festa di un amico. Fino a oggi si era scritto invece che a quel party nel centro della città non ci era mai arrivato e che la sua morte è stata fatta risalire ad una decina di ore prima del ritrovamento del catalogo. Intanto la procura di Giza, che sta passando al setaccio le ultime telefonate partite dal telefono del ragazzo, sostiene che non è ancora arrivato nessun ordine in merito a un’indagine da coordinarsi con gli italiani, e lo stesso ambasciatore italiano al Cairo, Maurizio Massari, ha detto che in questi giorni si proverà a capire come si sta sviluppando la collaborazione. Il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, ha negato l’ipotesi di un arresto in Egitto di Regeni. Tuttavia tra i rappresentanti dei sindacati indipendenti scesi in piazza nelle ultime ore per ricordare Regeni, circola l’idea che sarebbero stati proprio i resoconti sulla stampa del ricercatore sulle tensioni sociali prodotto da un regime di governo che ha ridotto le espressioni di libertà. In altre parole non escludono che possa esserci la responsabilità delle forze paramilitari.
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