Le difficili diagnosi delle Enterospondiloartriti che colpiscono 1 persona su 20. Per i pazienti che ne soffrono nasce Anpesa
(PRIMAPRESS) - ROMA - Anche se i dati registrano che 1 persona su 20 nel mondo è colpita da malattie immunomediate, sa fa ancora fatica a diagnosticarle. Come nel caso delle Enterospondiloartriti (EsA). Secondo il presidente della Società Italiana di GastroReumatologia SIGR, Vincenzo Bruzzese “A soffrirne sono soprattutto i pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali quali il Morbo di Crohn o rettocolite ulcerosa che, lungo il decorso della loro malattia, iniziano ad accusare dolori articolari periferici o a livello della colonna vertebrale e del bacino”. A loro volta, nei pazienti reumatici è frequente trovare oltre all’artrite anche sintomi tipici dell’infiammazione intestinale. Spesso sono sintomi presenti da molti anni tanto da essere sottovalutati: gonfiore addominale, diarrea, aumento progressivo del peso, stanchezza e possono configurare una malattia infiammatoria cronico intestinale, ma con diffusione contenuta, in questo caso intorno all’8%.
E' su queste basi che è nata l' A.N.P.E.S.A. – Associazione Nazionale Pazienti con Enterospondiloartriti che come spiega la presidente dell'associazione, la psicologa, roberta Cimaglia - ha l'obiettivo di rimettere il paziente al centro del complesso processo diagnostico-terapeutico e di assistenza anche psicologica e legale, per sottrarlo a scomode e dannose situazioni sanitarie non integrate e spesso non comunicanti fra loro. "Mettere il paziente al centro - spiega Cimaglia - significa promuovere una sua presa in carico presso team medici multidisciplinari che sappiano dialogare in sé e con l’Associazione, ai fini di accompagnare il percorso di cronicità del paziente verso una sempre migliore qualità di vita”. - (PRIMAPRESS)
E' su queste basi che è nata l' A.N.P.E.S.A. – Associazione Nazionale Pazienti con Enterospondiloartriti che come spiega la presidente dell'associazione, la psicologa, roberta Cimaglia - ha l'obiettivo di rimettere il paziente al centro del complesso processo diagnostico-terapeutico e di assistenza anche psicologica e legale, per sottrarlo a scomode e dannose situazioni sanitarie non integrate e spesso non comunicanti fra loro. "Mettere il paziente al centro - spiega Cimaglia - significa promuovere una sua presa in carico presso team medici multidisciplinari che sappiano dialogare in sé e con l’Associazione, ai fini di accompagnare il percorso di cronicità del paziente verso una sempre migliore qualità di vita”. - (PRIMAPRESS)