ROMA – “Il fatto non sussiste”. Con questa decisione il tribunale di Roma ha assolto ieri Silvio Berlusconi nel filone del caso Ruby che era stato trasferito al Tribunale di Roma. Di fatto la sentenza dei giudici romani non ha riscontrato la corruzione che la Procura di Milano contestava al premier e al musicista Mariano Apicella. Nel giudizio sono stati valutati i versamenti – anche generosi – effettuati dal Cavaliere all’artista prima, durante e dopo il caso Ruby. Ma proprio quella continuità di pagamenti ha indotto i magistrati a non ritenere quelle somme come un pagamento per il silenzio delle giovani donne sui festini di Arcore. Stessa motivazione per il musicista Apicella.
Tesi che i difensori del leader azzurro avevano sostenuto da tempo, e che ieri viene fatta propria dai giudici della seconda sezione penale del tribunale romano. Ma prima ancora che dai giudici la tesi – e questo è un evento senza precedenti, nella storia quasi trentennale dei processi al Cav – viene avanzata con forza anche dal pubblico ministero, il rappresentante della pubblica accusa. Sul tavolo del pm romano Roberto Felici sono arrivate le carte provenienti dai colleghi milanesi, quelle che secondo loro dimostravano con certezza che Berlusconi aveva pagato Apicella per mentire in aula. È il teorema che per anni giornali e avversari politici hanno dato per dimostrato, per assiomatico. Il teorema aveva già dato segni di vacillare tredici mesi fa, quando in un altro troncone di questo spezzatino giudiziario il tribunale di Siena aveva emesso la sua sentenza a carico di Berlusconi e di un altro musicista, il pianista Danilo Mariani: anche lui da anni a libro paga dell’ex premier e anche lui accusato di avergli venduto a caro prezzo il suo silenzio sui sabati di Arcore. Mariani e Berlusconi vennero assolti: anche lì formula piena, «il fatto non sussiste». Ma lì almeno il pm d’aula aveva chiesto la condanna. Segno che il pool milanese non era del tutto solo nel dare la caccia alla presunte mazzette di Berlusconi per condizionare e depistare i processi a suo carico. Era stato poi il giudice a smontare tutto.
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