L’esigenza profonda di raccontare un’autentica esperienza di vita sullo sfondo di una romanità che va man mano scomparendo rappresenta l’anima di “Ab Urbe Coacta”, opera prima alla regia dell’artista indipendente Mauro Ruvolo, noto precedentemente per aver cavalcato la scena della produzione musicale londinese, per la cura nel restauro audio di numerosi film ma anche per un’attività intensa nel montaggio digitale e nella produzione di documentari, videoclip, format televisivi e trailer. Il film è attualmente in concorso alla 34 edizione del Torino film festival e sarà presentato al pubblico e alla stampa specializzata sabato 19 novembre presso il cinema “Lux” del capoluogo piemontese.
Le vicende che raccontano la vita di Mauro Bonanni, detto “Barella”, trovano spazio tra i quartieri della Certosa e di Torpignattara, nella periferia di Roma. Mauro è gestore di una vecchia autodemolizione del luogo ed è un grande appassionato di motori. In quelle stesse strade dove ha trascorso un’infanzia difficile ma spensierata si incrociano persone e nazionalità diverse, che portano con se esperienze e tradizioni rispetto alle quali il vecchio borgataro nutre una forma di razzismo figlia del disagio esistenziale da cui è soffocato, ma che presto si tramuteranno in una più intima e sincera curiosità per quelle culture così lontane. Il dover affrontare una malattia incombente, la sconfortante assenza della moglie e la triste routine fatta di un lavoro frustrante e di opprimenti amicizie produrrà nei confronti di Barella un riavvicinamento ai suoi colleghi extracomunitari – come nel caso di Blaise, col quale ha condiviso importanti esperienze nel centro Africa – e in particolare il bisogno impellente di liberarsi una volta per tutte del peso di quell’esistenza fuggendo dalla periferia e partendo per Cotoneau, nel Benin, dove affronterà un percorso emotivo e spirituale dentro se stesso, riconquistando finalmente, perso in uno sguardo contemplativo lungo la vastità dell’oceano africano, uno spiraglio di serenità.
La realizzazione del film è il frutto di anni intensi di riflessione e maturazione che hanno portato a un’idea specifica del progetto costretta talvolta a cambi radicali ma soprattutto aperta a scenari e suggestioni che le circostanze quasi passivamente sono state in grado di suggerire. Si può parlare più esattamente di un “one man project”, dove il regista s’è preso carico delle riprese, delle musiche e del montaggio audiovisivo e ciò – a detta specifica dell’autore – unicamente nell’intento di preservare la naturalezza e la dimensione confidenziale degli attori/non attori, certamente poco inclini all’ingombro, anche minimo, cui si è abituati nelle produzioni convenzionali. Una modalità di lavoro sicuramente inusuale come questa ha tuttavia impresso una chiara identità di stile e linguaggio alla pellicola, dal sapore quasi documentaristico, e ha saputo garantire una porta d’accesso a una realtà sociale altrimenti estremamente complessa da scrutare, per quanto unica e affascinant
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