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Cyberbullismo: una ricerca Rcs Media Group rileva che il 30% di mamme ha indicato il figlio come vittima

Cyberbullismo: una ricerca Rcs Media Group rileva che il 30% di mamme ha indicato il figlio come vittima
(PRIMAPRESS) - MILANO  – “Nella mente dei genitori: riflessioni su bullismo e cyberbullismo” è il titolo della ricerca presentata a Milano da Style Piccoli e quimamme.it, in collaborazione con iO Donna, Corriere Salute, Fondazione Corriere della Sera e Movimento Italiano Genitori (MOIGE) e con il contributo di Esselunga e HARIBO.
L’indagine “Nella mente dei genitori: riflessioni sul bullismo e cyberbullismo” realizzata da Sfera MediaGroup a cura di Federico Gilardi (Research Manager RCS MediaGroup, divisione Infanzia), indaga come gli adulti vivono il bullismo e il cyberbullismo, sia rispetto al lorovissuto sia in relazione ai propri figli. Il 63% dei rispondenti (età 25-65 anni) afferma di averlo vissuto in prima persona, come vittima nel 37% dei casi o come spettatore attivo/passivo. Rispetto ai propri figli, il 74% teme che vengano coinvolti in episodi di bullismo. Il 50% dei rispondenti afferma invece di sapere (o di sospettare) che sia già avvenuto (il 30% indica il figlio come la vittima). Dai dati emerge come il fenomeno sia sostanzialmente trasversale e prescinda dal contesto familiare, sociale, economico o territoriale di appartenenza.
Il 94% degli intervistati considera il fenomeno rilevante e dichiara di informarsi prevalentemente attraverso i media (50%) o parlandone con amici e conoscenti (46%), ma il 50% di loro ritiene di non avere informazioni sufficienti su come comportarsi di fronte al bullismo.
Rispetto ai possibili fattori che alimentano il bullismo dalle risposte spiccano i “cattivi modelli” veicolati dai social (64%), ma anche sociali, come: l’impoverimento culturale (54%), una minore educazione alle emozioni (52%), il minor tempo a disposizione dei genitori da dedicare ai figli (46%).
Tra le azioni ritenute necessarie per affrontare il bullismo emergono: educazione a empatia e convivenza (70%), informazione verso bambini e famiglie su come comportarsi (64%), educazione contro il bullismo a scuola (54%), corsi per potenziare l’autostima (52%).
Il tema della formazione e dell’informazione si evidenzia anche rispetto al Cyberbullismo, con il 33% degli intervistati che dichiara di non sentirsi competente sul tema.
Si evince però un alto grado di libertà dei figli, che già in età scolare e prescolare utilizzano abitualmente lo smartphone (55% nella fascia 6-10 anni e 78% in quella 11-13) anche in autonomia (60% nella fascia 6-10 anni e 82% in quella 11-13). Senza regole precise di utilizzo (20%) o con regole facilmente aggirabili, anche rispetto a navigazione online e chat, che spesso non vengono supervisionate dai genitori principalmente per: rispetto per la privacy (29%) e fiducia nei propri figli (23%). 
In presenza di supervisione delle chat dei figli da parte dei genitori, però, i rispondenti affermano di aver rilevato molti contenuti inadatti, tra cui: linguaggio scurrile/violento (28%) o blasfemo (25%), pettegolezzi (25%), minacce, insulti, dileggio rivolte ad altri ragazzi/e (13%), condivisone di immagini non adatte all’età (13%), istigazione a violare le regole (6%). I lavori della mattinata dell’evento “Elogio dell’empatia. Contributo al dialogo sul bullismo” sono proseguiti con una tavola rotonda, moderata da Chiara Bidoli, direttrice di Quimamme.it e Io e il mio bambino e caporedattore di Corriere Salute, con: Antonio Affinita, direttore generale MOIGE (Movimento Italiano Genitori); Marco Piantanida, managing director e amministratore delegato HARIBO Italia, David Puente, vicedirettore Open.online; Rosy Russo, presidente e founder Associazione Parole O_Stili; Francesca Valla, counselor familiare e insegnante. “I dati emersi dalla ricerca e dalla tavola rotonda sottolineano le difficoltà di genitori, bambini e ragazzi di fronte a questo fenomeno in costante crescita, soprattutto nelle fasce di età più giovani. Per contrastarlo occorre un approccio sistemico che possa fornire a genitori, insegnanti e a tutta la comunità educante una maggiore consapevolezza per riconoscerlo tempestivamente e prevenirlo.”, spiega Chiara Bidoli, direttrice di Quimamme.it e Io e il mio bambino e caporedattore di Corriere Salute. “Risulta sempre più urgente anche un’educazione ‘digitale’ che responsabilizzi i bambini e i ragazzi sull’uso delle chat e li renda consapevoli di quanto parole e atteggiamenti denigratori, amplificati sui social, possano avere effetti dannosi nei confronti dei coetanei.” conclude Danda Santini, direttrice di Style Piccoli e iO Donna. - (PRIMAPRESS)