Vinitaly, non solo export da “primato”
- di RED-CENTRALE
- in Vinitaly 2013
(PRIMAPRESS) - ROMA - Con la crisi il vino italiano diventa ancora più protagonista nell’economia del Paese. Non solo continua a macinare successi oltreconfine, compensando il calo netto dei consumi interni, ma in una fase di disoccupazione alle stelle crea imprese e nuovi posti di lavoro, soprattutto tra i giovani e le donne. Lo afferma la Cia-Confederazione italiana agricoltori, alla vigilia dell’apertura della 47° edizione di “Vinitaly” a Veronafiere.
Anche nel 2012 le bottiglie tricolori hanno premuto a fondo sul pedale dell’export, mettendo a segno una crescita in valore del 6,5 per cento a quota 4,7 miliardi di euro per oltre 21 milioni di ettolitri consumati sui mercati stranieri -ricorda la Cia-. Vuol dire che, nonostante il calo produttivo per colpa del pessimo andamento climatico, l’Italia mantiene tuttora la leadership mondiale dei Paesi esportatori di vino con quasi il 22 per cento del mercato globale.
Oggi nel mondo più di una bottiglia su cinque “parla” italiano. Con due cambiamenti importanti: si esporta meno quantità e più qualità, con un aumento delle vendite all’estero di rossi e bianchi certificati rispetto al calo del vino sfuso -osserva la Cia- e continua a crescere il ruolo giocato dal continente asiatico. Infatti nel 2012 a trainare l’export del settore sono stati prima di tutto Cina (+15 per cento) e Giappone (+28 per cento), seguiti dai mercati di riferimento più “tradizionali” come Stati Uniti (+6 per cento) e Germania (+4 per cento).
Ma numeri straordinari, tanto più in questo momento storico, sono soprattutto quelli sull’occupazione nel “pianeta vino”. Sono ben 1,2 milioni i lavoratori impiegati in Italia nel settore tra vigne, cantine e indotto -spiega la Cia- con un aumento del 50 per cento negli ultimi dieci anni. In più, un lavoratore dipendente su quattro tra i neo assunti nel comparto è un giovane, mentre tra le donne a capo di imprese agricole (490 mila in totale), quasi il 30 per cento conduce un’azienda vitivinicola. Tra queste, il 70 per cento lavora prevalentemente in cantina; l’11 per cento si occupa della ristorazione; il 9 per cento è sommelier e una percentuale identica è addetta alla comunicazione.
Eppure, nonostante successi e traguardi collezionati dal nostro vino, il comparto mantiene delle contraddizioni su cui bisogna intervenire. Innanzitutto -evidenzia la Cia- non basta raggiungere nuovi mercati all’estero, bisogna anche trovare nuovi consumatori “in casa”. Dal 1995 al 2012, infatti, il consumo pro capite di vino in Italia è passato da 55 litri a 39, “perdendo” per strada ben 16 litri. Complici la crisi economica, le diete, i nuovi stili di vita. Anche lo stesso export, per intercettare al meglio la domanda proveniente dai nuovi bacini di consumo, richiede ora una piattaforma comune di filiera con un “contagio” positivo per tutte le aziende che operano nel settore. Basta muoversi in ordine sparso, per vincere occorre una strategia sinergica unitaria che superi finalmente l’eccessiva frammentazione e la competitività esasperata che spesso penalizza i piccoli produttori sui grandi. - (PRIMAPRESS)
Anche nel 2012 le bottiglie tricolori hanno premuto a fondo sul pedale dell’export, mettendo a segno una crescita in valore del 6,5 per cento a quota 4,7 miliardi di euro per oltre 21 milioni di ettolitri consumati sui mercati stranieri -ricorda la Cia-. Vuol dire che, nonostante il calo produttivo per colpa del pessimo andamento climatico, l’Italia mantiene tuttora la leadership mondiale dei Paesi esportatori di vino con quasi il 22 per cento del mercato globale.
Oggi nel mondo più di una bottiglia su cinque “parla” italiano. Con due cambiamenti importanti: si esporta meno quantità e più qualità, con un aumento delle vendite all’estero di rossi e bianchi certificati rispetto al calo del vino sfuso -osserva la Cia- e continua a crescere il ruolo giocato dal continente asiatico. Infatti nel 2012 a trainare l’export del settore sono stati prima di tutto Cina (+15 per cento) e Giappone (+28 per cento), seguiti dai mercati di riferimento più “tradizionali” come Stati Uniti (+6 per cento) e Germania (+4 per cento).
Ma numeri straordinari, tanto più in questo momento storico, sono soprattutto quelli sull’occupazione nel “pianeta vino”. Sono ben 1,2 milioni i lavoratori impiegati in Italia nel settore tra vigne, cantine e indotto -spiega la Cia- con un aumento del 50 per cento negli ultimi dieci anni. In più, un lavoratore dipendente su quattro tra i neo assunti nel comparto è un giovane, mentre tra le donne a capo di imprese agricole (490 mila in totale), quasi il 30 per cento conduce un’azienda vitivinicola. Tra queste, il 70 per cento lavora prevalentemente in cantina; l’11 per cento si occupa della ristorazione; il 9 per cento è sommelier e una percentuale identica è addetta alla comunicazione.
Eppure, nonostante successi e traguardi collezionati dal nostro vino, il comparto mantiene delle contraddizioni su cui bisogna intervenire. Innanzitutto -evidenzia la Cia- non basta raggiungere nuovi mercati all’estero, bisogna anche trovare nuovi consumatori “in casa”. Dal 1995 al 2012, infatti, il consumo pro capite di vino in Italia è passato da 55 litri a 39, “perdendo” per strada ben 16 litri. Complici la crisi economica, le diete, i nuovi stili di vita. Anche lo stesso export, per intercettare al meglio la domanda proveniente dai nuovi bacini di consumo, richiede ora una piattaforma comune di filiera con un “contagio” positivo per tutte le aziende che operano nel settore. Basta muoversi in ordine sparso, per vincere occorre una strategia sinergica unitaria che superi finalmente l’eccessiva frammentazione e la competitività esasperata che spesso penalizza i piccoli produttori sui grandi. - (PRIMAPRESS)