Situazione sociale del paese: il 55° Rapporto del Censis nella società dove cresce l'irrazionale
- di Paolo Silvestrelli
- in Primo Piano
(PRIMAPRESS) - ROMA – Presentato oggi presso il Parlamentino del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) a Roma, il 55° Rapporto sulla situazione sociale del Paese del Censis per l’anno 2021. Dalla parola chiave transizione bisognerà passare a quella trasformativa progettuale ma anche di risposta dei bisogni, ha sottolineato il presidente del Cnel Tiziano Treu, ospitando il rapporto del Censis messo a fuoco dal Dg Massimiliano Valerii e dal Segretario Generale, Giuseppe De Rita.
Il rapporto del Centro Studi degli Investimenti Sociali è una fotografia dell’identità di periodo della società italiana come ha detto Valerii in apertura della presentazione. Un periodo che quest’anno è caratterizzato dall’elemento dell’irrazionale che si è manifestato con questa pandemia: dai libri, alle ribalte televisive, dalle proteste in piazza alla formazione dei giudizi senza le competenze e le informazioni per poterli analizzare. “Nella nostra società, dunque - ha commentato Valerii - accanto alla maggioranza ragionevole si affianca quel 5,9% (oltre 3 milioni di italiani) di popolazione in cui si sommano la negazione dell’esistenza del virus e della pandemia”. Un concetto ripreso anche dal segretario del Censis, Giuseppe De Rita prospettando come le posizioni irrazionali si vadano ad inserire nei momenti di vuoto della politica.
Dalla parola crisi alla transizione trasformativa
Ma come si può sintetizzare la situazione di periodo della società italiana? Si è passati dalla società dell’adattamento a quella della necessità di progettare. La ripresa dello sviluppo è la prima strutturale richiesta che la società esprime in termini di progetto unitario. Basti guardare l’enfasi posta in questi mesi sul superamento delle più favorevoli ipotesi di crescita del Pil, la sopravvalutazione del ciclo di rimbalzo dei consumi interni, la fiducia posta nella capacità dei soggetti e dei fondi pubblici di annientare gli effetti della crisi. Tutti segnali che indicano un’aspirazione collettiva e condivisa di risalita, se non di ricostruzione.
La pandemia, rimescolando le carte, ha costretto il Paese a porsi di fronte alle opportunità dell’accelerazione negli investimenti pubblici e privati. È il tempo di un cronoprogramma serio, non importa se dettato dai vincoli europei. È il tempo delle riforme strutturali e dei grandi eventi internazionali da preparare e ospitare in Italia. È il tempo dell’intervento pubblico, orientato da scelte coraggiose.
Alla parola «crisi» preferiamo la parola «transizione», proprio a significare che il momento più grave è ormai alle spalle, che ci siamo rimessi in cammino. Intorno a ciascun progetto di transizione (green, digitale, demografica, occupazionale) si accumulano tanti sprazzi di vitalità, tanta voglia di partecipazione, tante energie positive.
La transizione green, ossia la necessità di ridurre l’impronta ecologica delle attività umane, per salvaguardare l’ambiente delle generazioni future, è un processo sociale, economico, tecnologico, politico che assume sembianze forti quanto le rivoluzioni industriali o la globalizzazione, ma proprio perché è tale richiede capacità d’indirizzo e di disegno complessivo ben oltre quella messa in campo fin qui in Italia e in Europa. La transizione digitale è il simbolo della sfida tecnologica e dell’innovazione delle grandi società globali. Oggi prova a integrare obiettivi di contrasto ai cambiamenti climatici e obiettivi d’inclusione dei più fragili nelle società avanzate.
L'assenza di lavoro giovanile e di opportunità di genere
La transizione demografica, verso una società meno numerosa e più anziana, è una vera crisi, da affrontare con strumenti e approcci di una emergenza. La chiamata d’attenzione alle variabili demografiche, e al fatto che nessun Paese avanzato è in ritardo quanto il nostro, ha il pregio di rimettere al centro dell’iniziativa politica il lavoro giovanile, il ruolo delle donne, il potenziamento dei servizi di assistenza e di protezione sociale.
La transizione del lavoro, il riposizionamento delle competenze in uno scenario produttivo e dei servizi radicalmente mutato, sfugge ancora alla sensibilità dell’opinione corrente. Il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, la dispersione di opportunità per mancanza o inadeguatezza delle competenze necessarie in questa nuova fase di ripartenza, non è un tema nuovo, ma oggi è al centro di un rinnovato bisogno collettivo.
L'incertezza della politica
La questione di fondo che emerge dalla domanda sociale di uno sviluppo più per progetto che per continuato adattamento è: quanta consapevolezza c’è del percorso da compiere, delle difficoltà ancora da superare? L’emergenza sanitaria e le sue conseguenze, l’attenzione alle variazioni del clima, lo sviluppo dirompente della tecnologia, l’indebitamento pubblico inarrestabile, il gap digitale: sono tutti esempi di come la società italiana sia messa alla prova, chiamata a un lavoro di autocoscienza, individuale e collettiva. Un livello opportuno di coscienza collettiva è un ingrediente necessario alla ripresa economica e sociale, e per garantire una presenza maggiore e più efficace dell’azione pubblica.
Parlare con parole nuove e affrontare con serietà le fragilità del nostro tessuto sociale è quello che serve nell’attuale dialettica socio-politica. Nell’orizzonte della ripresa si nota un’inquietudine politica, timida e incerta. Ben vengano paura e incertezza del futuro, se aiuteranno nuovi modi di pensare e costruire società e istituzioni, di riconnettere tra loro tecnica e politica, vita sociale e attività statale. - (PRIMAPRESS)
Il rapporto del Centro Studi degli Investimenti Sociali è una fotografia dell’identità di periodo della società italiana come ha detto Valerii in apertura della presentazione. Un periodo che quest’anno è caratterizzato dall’elemento dell’irrazionale che si è manifestato con questa pandemia: dai libri, alle ribalte televisive, dalle proteste in piazza alla formazione dei giudizi senza le competenze e le informazioni per poterli analizzare. “Nella nostra società, dunque - ha commentato Valerii - accanto alla maggioranza ragionevole si affianca quel 5,9% (oltre 3 milioni di italiani) di popolazione in cui si sommano la negazione dell’esistenza del virus e della pandemia”. Un concetto ripreso anche dal segretario del Censis, Giuseppe De Rita prospettando come le posizioni irrazionali si vadano ad inserire nei momenti di vuoto della politica.
Dalla parola crisi alla transizione trasformativa
Ma come si può sintetizzare la situazione di periodo della società italiana? Si è passati dalla società dell’adattamento a quella della necessità di progettare. La ripresa dello sviluppo è la prima strutturale richiesta che la società esprime in termini di progetto unitario. Basti guardare l’enfasi posta in questi mesi sul superamento delle più favorevoli ipotesi di crescita del Pil, la sopravvalutazione del ciclo di rimbalzo dei consumi interni, la fiducia posta nella capacità dei soggetti e dei fondi pubblici di annientare gli effetti della crisi. Tutti segnali che indicano un’aspirazione collettiva e condivisa di risalita, se non di ricostruzione.
La pandemia, rimescolando le carte, ha costretto il Paese a porsi di fronte alle opportunità dell’accelerazione negli investimenti pubblici e privati. È il tempo di un cronoprogramma serio, non importa se dettato dai vincoli europei. È il tempo delle riforme strutturali e dei grandi eventi internazionali da preparare e ospitare in Italia. È il tempo dell’intervento pubblico, orientato da scelte coraggiose.
Alla parola «crisi» preferiamo la parola «transizione», proprio a significare che il momento più grave è ormai alle spalle, che ci siamo rimessi in cammino. Intorno a ciascun progetto di transizione (green, digitale, demografica, occupazionale) si accumulano tanti sprazzi di vitalità, tanta voglia di partecipazione, tante energie positive.
La transizione green, ossia la necessità di ridurre l’impronta ecologica delle attività umane, per salvaguardare l’ambiente delle generazioni future, è un processo sociale, economico, tecnologico, politico che assume sembianze forti quanto le rivoluzioni industriali o la globalizzazione, ma proprio perché è tale richiede capacità d’indirizzo e di disegno complessivo ben oltre quella messa in campo fin qui in Italia e in Europa. La transizione digitale è il simbolo della sfida tecnologica e dell’innovazione delle grandi società globali. Oggi prova a integrare obiettivi di contrasto ai cambiamenti climatici e obiettivi d’inclusione dei più fragili nelle società avanzate.
L'assenza di lavoro giovanile e di opportunità di genere
La transizione demografica, verso una società meno numerosa e più anziana, è una vera crisi, da affrontare con strumenti e approcci di una emergenza. La chiamata d’attenzione alle variabili demografiche, e al fatto che nessun Paese avanzato è in ritardo quanto il nostro, ha il pregio di rimettere al centro dell’iniziativa politica il lavoro giovanile, il ruolo delle donne, il potenziamento dei servizi di assistenza e di protezione sociale.
La transizione del lavoro, il riposizionamento delle competenze in uno scenario produttivo e dei servizi radicalmente mutato, sfugge ancora alla sensibilità dell’opinione corrente. Il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, la dispersione di opportunità per mancanza o inadeguatezza delle competenze necessarie in questa nuova fase di ripartenza, non è un tema nuovo, ma oggi è al centro di un rinnovato bisogno collettivo.
L'incertezza della politica
La questione di fondo che emerge dalla domanda sociale di uno sviluppo più per progetto che per continuato adattamento è: quanta consapevolezza c’è del percorso da compiere, delle difficoltà ancora da superare? L’emergenza sanitaria e le sue conseguenze, l’attenzione alle variazioni del clima, lo sviluppo dirompente della tecnologia, l’indebitamento pubblico inarrestabile, il gap digitale: sono tutti esempi di come la società italiana sia messa alla prova, chiamata a un lavoro di autocoscienza, individuale e collettiva. Un livello opportuno di coscienza collettiva è un ingrediente necessario alla ripresa economica e sociale, e per garantire una presenza maggiore e più efficace dell’azione pubblica.
Parlare con parole nuove e affrontare con serietà le fragilità del nostro tessuto sociale è quello che serve nell’attuale dialettica socio-politica. Nell’orizzonte della ripresa si nota un’inquietudine politica, timida e incerta. Ben vengano paura e incertezza del futuro, se aiuteranno nuovi modi di pensare e costruire società e istituzioni, di riconnettere tra loro tecnica e politica, vita sociale e attività statale. - (PRIMAPRESS)