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Jackie, una sfida contro tutti i pregiudizi

(PRIMAPRESS) - NAPOLI - "Mi voglio bene. Sono molto affezionata a quella che sono, mi piace la mia persona. E mi piace anche il nome che tra qualche mese non avrò più, nemmeno sui documenti". Jackie ha trent'anni e un obiettivo da realizzare. Diventare il primo magistrato transessuale della storia. "Il percorso di transizione l'ho cominciato tardi, per avere piena consapevolezza di ciò che mi sarebbe accaduto. Cambiare sesso solo per potere piacere di più agli uomini poteva rivelarsi un fallimento". La incontriamo in un bar del centro città. Occhi intelligenti e profondi, aria sveglia di chi non si fa passare nemmeno una mosca sotto il naso. Oggi è il suo primo giorno di terapia ormonale, "quella che serve a mettere in equilibrio il corpo con la mente e che mi porterà all'operazione finale tra 3 o 4 anni".  "Il concorso per diventare magistrato - dice - lo farò con il mio nuovo nome. E' un sogno che inseguo da tanto tempo. Nell'ottobre del 2016 riuscii ad entrare nel Tribunale di Napoli in qualità di tirocinante alla Quinta sezione. E’ stata un'esperienza bellissima, da cui ho imparato tanto. Durante le udienze ero in imbarazzo, per come mi guardavano, ma in quelle situazioni ho imparato ad essere più forte".  Nello sguardo profondo di Jackie, i disagi di chi, con coraggio, prova a scalare una montagna fatta di pregiudizi, discriminazioni e bullismo. "Ricordo il momento esatto in cui mi resi conto che non mi piacevano le donne. Avevo sei anni. E ricordo anche il momento esatto in cui mi convinsi di non poter continuare a vestire i miei soliti panni. Quattro o cinque anni fa ero diversa, sembravo molto più donna. Questa cosa mi spingeva anche a non fare nessun passo, perché pensavo di non averne bisogno. Poi quando cominci a crescere, se ce l'hai dentro la predisposizione lo fai, perché non puoi stare al centro ma devi scegliere fra bianco e nero".  Eppure nel 2019 c'è ancora qualcuno che considera l'omosessualità una malattia... "Non si nasce gay e poi si decide di trasformarsi. Si nasce transessuali. La disforia di genere è una cosa che dovrebbe essere riconosciuta. I media dovrebbero parlarne maggiormente, perché spesso i transessuali sono considerati come persone che hanno avuto il coraggio di fare delle protesi o di uscire alla luce del sole con una minigonna pur essendo nati uomini, ma non è così".  Come hai vissuto questo percorso in una realtà di periferia? "Girando il mondo ho capito che nelle periferie queste storie di disagio sono prese più a cuore, perché le persone sono più abituate a contesti familiari ristretti, sentono maggiormente il senso della vicinanza". Com'è andata nei tuoi primi colloqui per proporti agli studi legali? "Mi sono laureata con 105 nel marzo del 2015. Lì è cominciato il mio inferno e lì ho capito che forse dovevo cambiare corpo, perché quando sei giovane non ti rendi conto di tante cose. Ero sempre nel mio mondo ovattato, la mia famiglia, mio padre che non voleva che io indossassi abiti femminili o che mi mostrassi in versione donna, ma finiva lì. Tornavo a casa e li mi accettavano per come ero, con il mio aspetto ambiguo. Ero consapevole delle difficoltà che avrei incontrato nel mondo del lavoro, per quelle come me erano il triplo. Mi resi conto di dover cambiare corpo quando ho fatto un colloquio a Napoli da un avvocato, il quale mi disse che mi poteva assumere, dopo aver letto il mio libretto universitario e i voti ottenuti. Più che un colloquio fu un esame. Ne uscii alla grande. Lui disse, ti posso assumere ma voglio che vieni con i capelli legati, li nascondi un una camicia, all'inizio non ti garantisco la presenza in udienza e quando vengono clienti ti devi nascondere". Per Jackie fu un colpo durissimo. Ma il coraggio non le mancava. "Fu un periodo molto difficile, in tanti mi dissero che il mio aspetto avrebbe provocato problemi. Alla fine del 2015, conobbi un avvocato molto giovane. Fu il primo a non chiedermi nulla sul mio orientamento sessuale. Per me fu un passo avanti importante il fatto che al decimo minuto non avesse pronunciato la classica frase 'immagino che tu sia omosessuale'. In quello studio imparai un po' di tutto". Jackie è stata messa alla prova tante volte. E sempre ne è uscita a testa alta. "Nella mia vita ho condotto molte battaglie, da sola e negli ambienti più disparati, in Tribunale, negli studi legali, all'Università. Non ho mai avuto vergogna di dire di essere omosessuale. Spesso in questi contesti ero l'unica. Non sono mai scesa in piazza per un gay pride. Il tasso di omofobia è un poco più alto in questi ambienti. Nel mondo gay molte persone di aspetto virile usano la femminilità delle travestite, dei trans o di coloro i quali stanno cominciando un percorso, per offenderli. Molte delle trans che ho incontrato, per diventare tali hanno sofferto tanto, troppo, quindi vedere una persona come me o averci a che fare, le riporta nella condizione in cui si trovavano prima di cominciare il percorso. Tutto questo per loro è sgradevole. Quindi, spesso se non sei siliconata o altro, sei tagliata fuori". "Oggi - commenta Stefania Zambrano, segretaria dell'associazione Atn - possiamo dire che ce la possiamo fare, la speranza è ultima a morire. Le parole di questa ragazza ci danno più speranza nel futuro. La trans non è solo una macchina da sesso bensì una persona uguale a tutte le altre. Nella nostra comunità abbiamo avvocati, finanzieri, magistrati... si aprono le porte anche per le future donne trans". "Mamme - conclude la Zambrano - non abbandonate le vostre figlie/i se vogliono diventare quello che sono, stategli vicino". - (PRIMAPRESS)