Basket, Valerio Bianchini racconta la sua Roma dei record
- di RED COM
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(PRIMAPRESS) - ROMA - Valerio Bianchini è il coach più titolato della storia della pallacanestro italiana: 2 Coppe Campioni, 1 Coppa Intercontinentale, 1 Coppa delle Coppe, 3 scudetti (Cantù, Roma e Pesaro), 1 Coppa Italia (Fortitudo Bologna), oltre che essere stato il C.T. della Nazionale Italiana nel 1986 ai Mondiali di Madrid e nel 1987 agli Europei di Atene. Personaggio di assoluto spessore sportivo ed umano: un maestro che ha cresciuto generazioni di campioni. L'incontro a Roma con il “Vate” della pallacanestro è l'occasione per ricordare i fasti sportivi di Roma nel magico triennio del 1983-84-85 quando la capitale conquista il doppio scudetto nel calcio e nel basket, arrivando in finale di Coppa Campioni l'anno successivo in entrambi gli sport, vincendo nella palla a spicchi la Coppa Intercontinentale in Brasile. Nel calcio fatali furono nella finalissima del 1984 i calci di rigore per l'AS Roma, ad alzare la Coppa Campioni a Ginevra fu solamente il Banco Roma di Valerio Bianchini.
“La città di Roma – sottolinea Valerio Bianchini – viveva in quegli inizi anni '80 una sorta di rinascita non solo in campo sportivo: possiamo definire quell'epoca il Rinascimento di Roma, perché si respirava aria nuova, sul piano strutturale ed economico nascevano nuovi investimenti. Nello sport c'era da scardinare il potere milanese di quella “Milano da bere” che s'imponeva nei settori politico, economico ed industriale. Mettemmo storicamente in piedi una battaglia mediatica parallela a quella del campo: Roma sfidava l'egemonia di Milano dentro e fuori il rettangolo di gioco”. Con Eliseo Timò alla presidenza societaria: “Un grande manager – ricorda Bianchini – pur non venendo direttamente dallo sport, dimostrò di sapere gestire il gruppo dirigenziale e tecnico con grande competenza”. Dan Peterson andava ripetendo che Milano era la 25^ squadra dell'NBA: la cronaca restituì invece alla capitale la giusta dimensione anche nel basket con la Virtus Roma che si laureò campione d'Italia, battendo proprio la Billy Milano di Meneghin, Mike D'Antoni e Roberto Premier in gara 3 dei play off per 97-83, dopo aver concluso in testa anche la regular season. Quel 13 aprile 1983 al PalaEur si riversano addirittura 14.348 tifosi: record assoluto per la storia della pallacanestro italiana. Il Banco Roma porta a casa gara 1 davanti ad 11.500 tifosi, battendo Milano per 86-73, ma perde tre giorni dopo la rivincita con Gallinari che annulla Wright:: tutto rimandato così alla terza decisiva partita. Nella bolgia del PalaEur, gremitissimo di tifosi giallorossi, Roma stende Milano e vince il suo primo (ed unico) storico scudetto sotto i colpi di un super Gilardi (23 punti), di uno scatenato Wright (22 punti) e di un indomabile Clarence Kea (18 punti) sotto canestro, in doppia cifra anche Polesello e Solfrini (entrambi 13 punti). L'anno successivo a Ginevra, il 29 marzo 1984, arriva la conquista della prima Coppa dei Campioni, eliminando nel cammino club titolati come Maccabi Tel Aviv, il Bosna Sarajevo e la Pallacanestro Cantù: Roma è nella storia per sempre. Il ciclo non finì qui: nella stagione 1984-85, dopo una serie di gare disputate a San Paolo di Brasile, la squadra di Bianchini conquista anche la Coppa Intercontinentale. “Un triennio fantastico – sottolinea il coach ValerioBianchini – la città di Roma era la regina dello sport: il doppio scudetto del 1983, nel calcio e nel basket, proiettò la capitale nell'olimpo delle grandi. L'anno successivosfiorammo una epocale doppietta in Coppa Campioni: allo stadio Olimpico solo i rigori sfortunati frenarono la Roma contro il Liverpool. Ma l'impresa di essere arrivati in finale va comunque rimarcata, sebbene resta per il calcio romano la grande amarezza della grande occasione sfumata. La nostra conquista della Coppa Campioni, battendo in finale il favoritissimo Barcellona, resta un traguardo nella storia della pallacanestro italiana”. Con i giocatori della Virtus che divennero negli anni delle icone del basket non solo capitolino: Larry Wright (“un talento straordinario ma dal carattere vulnerabile, quando perdeva era una furia”), Fulvio Polesello (“giocatore determinante anche per la Nazionale, atleta di grande umanità fuori dal campo”), Enrico Gilardi (“un leader silenzioso, carismatico, con una personalità fuori dal comune, dotato in campo di una grande intelligenza tattica”), Clarence Kea (“lo prendemmo prima dei play off dai Detroit Spirits per sostituire l'infortunato Kim Hughes: fu il primo pivot che riuscì a fermare il grande DinoMeneghin”). Con loro una serie di talenti nel roster della Virtus che scrissero la storia del basket capitolino: Kim Hughes, Stefano Sbarra, Roberto Castellano, Marco Solfrini, Peppone Grimaldi, Massimo Prosperi, Egidio Delle Vedove, Fabrizio Valente. “Un aneddoto? Finale di Coppa Campioni contro il fortissimo Barcellona. Alla fine del primo tempo – racconta l'ex c.t. della Nazionale - stiamo sotto di dieci punti: giochiamo male, senza testa, con poco mordente. Mentre mi avvio negli spogliatoi comincio a pensare cosa dire alla squadra per farla reagire. Trovo invece negli spogliatoi un Larry Wright incavolatissimo che sbraita in un dialetto louisiano incomprensibile. Noi tutti zitti. Lo guardo e gli dico: sì Larry, hai ragione, faremo proprio così adesso. Furono le uniche parole da me pronunciate. Morale? Vinciamo la partita, Gilardi riesce anche a far espellere il talento spagnolo Juan Antonio San Epifanio. Alla fine della partita i cronisti mi chiesero cosa mai avevo detto alla mia squadra nell'intervallo per trasformarla così nel secondo tempo: non seppero mai la verità”. Il basket italiano sapeva esprimere grandi talenti in quegli anni: cosa è successo ai vivai? “Inizialmente la libera circolazione dei giocatori è stato un processo che lo sport ha accusato anche nella gestione dei settori giovanili negli anni le società hanno preferito puntare su giocatori già fatti, seppur di minore tasso tecnico, ritenendo più dispendiosa la gestione economica dei vivai. E poi è arrivato il crollo del vincolo del cartellino societario che ha definitivamente pregiudicato la politica di valorizzazione dei settori giovanili, con i procuratori dei giocatori che si sono ormai impadroniti della situazione ed ormai le società non hanno più visioni e programmi a lungo termine”. A quando un altro storico doppio scudetto nella capitale? “Speriamo presto. Ma resta davvero un'impresa. Nel giugno 2013 questa impresa è stata sfiorata dall'Acea che ha perso la finale scudetto contro Siena. La scorsa stagione è stata positiva per entrambe: l'Acea si è arresa in semifinale sempre contro Siena, la Roma è arrivata seconda. Quest'anno Roma nel basket, come altre grandi club storici come Pesaro, Cantù, Bologna e Varese, è in ritardo in classifica rispetto a Milano, Reggiana e Venezia. Nel calcio, invece, Totti e compagni sono adesso solamente ad un punto dalla vetta: è lecito credere e lottare per il sorpasso in classifica sulla Juventus”. C'è qualcosa che cancellerebbe nella sua carriera?“Anche dalle sconfitte più brucianti – conclude Valerio Bianchini - bisogna trarre gli insegnamenti giusti per ripartire e migliorare. Il basket mi ha dato tantissimo, prima come uomo e poi come sportivo. Una scuola di vita. Oltre ogni vittoria. Dentro e fuori il rettangolo di gioco”.
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