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Il viaggio di Mizan

(PRIMAPRESS) - NAPOLI - Scarpe di Mizan, è il titolo della rappresentazione teatrale, scritta e diretta dalla giovane compagnia Renalibre. Un unico attore in scena, Daniele Marino, che interpreta un immigrato di cui nulla è conosciuto tranne la sua non europeità. Mizan arriva nel vecchio Continente con il suo canotto, un simbolo che non sarà soltanto il vessillo del lungo viaggio ma che diventerà un vero e proprio oggetto transizionale. Culla del proprio sonno ma anche feticcio da cui mai distaccarsi, legame indissolubile con il terreno, in una società che riduce l’immigrato ad un fantasma, un non uomo la cui presenza è percepita soltanto subitaneamente. Tale rapporto rende Mizan oggetto sociale e non soggetto. Soltanto piccoli gesti quotidiani di sopravvivenza gli ricorderanno il peso della sua esistenza, il peso della sua stessa carne. Il canotto diventa dunque legame con il se’, ma anche ricordo del suo Paese, della sua Madre terra, di color rosso, ponte con un passato che sembra essersi dissolto in un luogo che non lo accoglie come invece aveva tanto sperato. Il suo destino infatti sembra essere già scritto: il centro di detenzione, la clandestinità, il degrado, la fame, l’essere destinato ai marciapiedi per vendere rose o per lavare vetri di automobili di passaggio.  Ma per Mizan tutto è meglio di nulla, l’esistere è già traguardo di vita, in una Europa che appare volta all’ integrazione, ma che risulta sempre più impermeabile al non europeo. Una scenografia scarna, fatta di pochi oggetti, a rappresentare il poco che deve bastare a chi non è cittadino. Mizan, un apolide del mondo, si districa nella sua nuova non esistenza e nei ricordi, della fuga e della sua vecchia vita, in un gioco teatrale pieno di suggestioni. Ma lo spettacolo, andato in scena dal 6 all’ 8 febbraio al Nouveau Théâtre de Poche di Napoli, non è solo una denuncia sulla condizioni dei clandestini, ma anche sui valori culturali in cui versa l’Europa. Mizan diventa difatti quasi spettro di chi, ad oggi, risulta ancora integrato, ma che potrebbe essere, in futuro non troppo lontano, l’immigrato di domani. - (PRIMAPRESS)