Teatro: Roberto Herlitzka porta in scena il Canto di Ulisse tratto dal racconto di Primo Levi. L’intervista all’attore
- di Giovanni Scanu
- in Cinema & Teatro
(PRIMAPRESS) - ROMA - L’ultima settimana del mese ci attende con lo spettacolo “Il Canto di Ulisse”, per la prima volta a Roma in data unica il 21 febbraio presso l’On Off Theatre di Via Giulia. Un reading/concerto che vede in scena gli attori Roberto Herlitzka, Stefano Santospago, il clarinettista Alessandro di Carlo e il violinista Alberto Caponi, con la regia di Teresa Pedroni a cura della Compagnia “Dritto e Rovescio”. Concepito in occasione del centenario della nascita di Primo Levi nel 2020 e successivamente rimandato per ragioni legate all’emergenza pandemica, il progetto consiste in una selezione dei racconti dell’autore dalla raccolta “L’ultimo natale di guerra”, scritti tra il 77 e l’87, e “Il Canto di Ulisse”, episodio tratto dalla celebre opera “Se questo è un uomo”. Da quest’ultimo emergono in particolar modo il sentimento d’evasione oltre i confini dei lager, con la stessa forza dei versi di Dante nel celebre Canto XXVI dell’Inferno, in grado di evocare un mondo fatto di spazi aperti e nuovi orizzonti. Facendo eco all’Ulisse dantesco, ritratto nella sua sete di conoscenza, così “Il Canto di Ulisse” delinea un viaggio in cui alcuni dei momenti più duri del passato di Levi si uniscono al sentimento di pietas nei confronti di tutti i “sommersi”. I frammenti e i ricordi di cui l’autore s’è reso testimone con la sua opera letteraria acquisiscono dunque un rinnovato senso, ricordando a tutta l’umanità - come afferma la regista - che il valore della memoria non dev’essere solo di tipo culturale, ma anche e soprattuto un dovere morale.
Primapress ha intervistato Roberto Herlitzka, considerato uno dei più importanti attori del panorama teatrale italiano. Di origine ceca, Herlitzka (84) si è formato presso l'Accademia d'Arte Drammatica Silvio D'Amico al fianco di Orazio Costa.
D. Nel “Canto di Ulisse” coesistono il dramma di tutte le vittime dei campi di sterminio e insieme un sentimento di elevazione al di sopra di esso, che ben si associa al desiderio di conoscenza espresso in modo mirabile dall’Ulisse di Dante. In che modo ritiene che il lavoro interpretativo compiuto insieme a Stefano Santospago abbia messo in evidenza questi aspetti?
R. Il nostro lavoro non si è concentrato nel seguire una linea operativa di tipo concettuale, ci si è invece limitati ad esprimere il contenuto del testo con la massima aderenza e partecipazione. Ciò è stato possibile, naturalmente, evidenziando il contesto e le situazioni orrende di cui si racconta nei testi, che nessuno di noi ha conosciuto e conosce e che perciò possiamo solo immaginare. Ma le parole di Levi ci aiutano moltissimo a comprenderle e a farle nostre, perciò abbiamo cercato sostanzialmente di uniformarci all’autore.
D. Come crede che l’elemento della musica riesca ad intrecciarsi a tutta l’impostazione registica e ad infondere alle parole di Levi, presenti nei testi, ancor più forza e profondità?
R. Effettivamente, come ha detto, alle prove hanno partecipato anche i musicisti e pertanto la musica sarà presente. Tuttavia, in un contesto simile, ammetto di non sapere quali musiche possano o meno aderire a un’atmosfera tanto terribile in cui, semplicemente, non si può concepire alcuna forma di arte. Per me, in un simile contesto, è talmente lontana l’idea della musica - dato che non può che essere una cosa gradevole, tranne in qualche caso eccezionale - che quasi mi stavo scordando ci fosse! (Ride)
D. Il lascito di Levi, ancora vivo e pulsante in ciascuno di noi, richiama al valore della memoria e al senso di responsabilità innanzi a tutte le problematicità del presente. In che modo crede che il teatro, a questo proposito, col suo mezzo artistico specifico, possa esserne un valido testimone?
R. Il valore morale della memoria è assoluto e questo tipo di fatti storici non devono essere dimenticati, sebbene ciò talvolta sia successo. Alcuni sono giunti perfino a negare certi avvenimenti, perciò possiamo immaginare facilmente quanto purtroppo sia fragile questo patrimonio. Il teatro, in se stesso, non credo che possa intervenire in modo veramente utile su questo tema, perché presuppone sempre - obbligatoriamente - la finzione. Mentre in questo caso ciò che vince su tutto è la realtà, una realtà talmente spaventosa e lontana da quella tollerabile da essere di per se stessa una forma di eccesso espressivo che il teatro non può ripetere. Il teatro può restituire un equivalente fantastico di tante cose, anche terribili, ma in questo caso è tutto talmente insostenibile - dai forni crematori a un banale piatto di zuppa - che il teatro rimane inevitabilmente indietro. Il teatro è un immagine, e la testimonianza di questi fatti sono molto più forti di quanto un’immagine possa evocare.
D. Secondo lei, rispetto alle criticità della pandemia e alle conflittualità politico-ideologiche internazionali, che sono il triste ritratto della nostra contemporaneità, con quali parole e con quanto trasporto interverrebbe a tal proposito Primo Levi se fosse ancora tra noi?
R. Primo Levi era un grand’uomo, con una mente eccezionale, una sensibilità e un cuore grazie ai quali ha saputo lasciarci dei documenti indimenticabili sulla situazione disumana che ha vissuto in prima persona. Quindi, rispetto a quanto ha riportato nei suoi scritti, le problematiche di oggi potrebbero non essere abbastanza forti da spingerlo ad intervenire con qualcosa di analogo. Si può immaginare che anche lui direbbe ciò che una persona di buon senso può dire e, peraltro, si sente anche dire: nel caso della pandemia, l’affollarsi della gente quasi fosse una rivendicazione di una libertà, laddove invece significa mettere a repentaglio se stessi e gli altri, è a tutti gli effetti una forma di assoluto obnubilamento mentale. Posso anche ricordare che ne “I promessi sposi” si parla della peste, una tragedia ancora più grave della nostra. Qui viene anche descritto il modo in cui il popolo affronta questa piaga, per esempio distruggendo i forni perché non si faccia il pane. Ecco quindi che anche Manzoni, ad esempio, ci ha raccontato di come, in determinati contesti, la gente si possa comportare in modo del tutto privo di senno.
D. Cosa sente, soprattutto, di voler lasciare a coloro che verranno ad assistere allo spettacolo?
R. Mi piacerebbe lasciare, come sempre, ciò che ho sentito io. Non c’è assolutamente l’intento di istruire o, in qualche modo, pensare di migliorare gli altri su qualche aspetto, così, a priori. Il teatro lo faccio con piena adesione anche perché faccio solo il teatro che trovo giusto fare, per quanto mi riguarda. E quindi lo faccio con totale convincimento. In questo caso posso sperare che la gente senta ciò che gli raccontiamo, perché sentirlo è già un’ educazione molto forte - (PRIMAPRESS)