Mafia: confisca record della Dia a Cosa Nostra
- di RED-CENTRALE
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(PRIMAPRESS) - PALERMO - Beni per un miliardo e trecento milioni di euro sono stati confiscati dalla Direzione investigativa antimafia a un soggetto ritenuto contiguo a Cosa nostra. I beni, che erano stati precentemente sequestrati, passano ora definitivamente allo Stato. Secondo la Dia, si tratta della confisca di importo piu' elevato in assoluto mai eseguita in Italia nei confronti di un unica persona. L’operazione di mega-confisca della D.I.A., che, oltre la Sicilia, sta interessando le regioni della Lombardia, del Lazio e della Calabria, colpisce i beni formalmente riconducibili al “re del vento” Vito Nicastri, 57 anni, imprenditore di Alcamo (Trapani), personaggio leader nel settore della produzione alternativa dell’energia elettrica, segnatamente fotovoltaico ed eolico. All'uomo e' stata imposta la sorveglianza speciale per tre anni, con obbligo di soggiorno ad Alcamo. Il patrimonio che gli e' stato confiscato comprende 40 societa', immobili e disponibilita' finanziarie. Secondo gli inquirenti, Nicastri era vicino a diversi personaggi mafiosi. Nicastri è stato coinvolto in numerose vicende, anche di natura penale, unitamente a qualificati esponenti mafiosi, relazionandosi con soggetti organici a “cosa nostra”. La sua contiguità, consapevole e costante, agli interessi dell’associazione mafiosa, che ha favorito la trasformazione del Nicastri da semplice elettricista a “sviluppatore”, figura imprenditoriale tipicamente italiana, connessa allo sfruttamento dell’energia da fonte eolica, facendogli assumere una posizione leader a livello nazionale nello specifico settore, lo fanno ritenere prestanome del noto latitante Matteo Messina Denaro.La misura di prevenzione patrimoniale scaturisce dalla proposta d’iniziativa del Direttore della D.I.A., Dirigente Generale di PS Arturo De Felice, che, attraverso articolate indagini economico-patrimoniali nei confronti dell’imprenditore alcamese, ha consentito di ricostruire il fitto reticolo patrimoniale degli ultimi trent’anni e di rilevare, altresì, l’esistenza di una consistente sperequazione tra i beni posseduti ed i redditi dichiarati. L’attività imprenditoriale del NICASTRI è quella dello sviluppatore, figura professionale tipicamente italiana che consiste nella realizzazione e nella successiva vendita, chiavi in mano, di parchi eolici, con ricavi milionari, considerato che ogni megawatt (MW) prodotto è venduto a circa 2.000.000,00 di euro. Le indagini si sono sviluppate anche attraverso una approfondita ricognizione dei procedimenti penali e dei numerosi eventi ritenuti rilevanti che hanno interessato il NICASTRI, i quali confermano relazioni con numerosi e qualificati esponenti mafiosi, con elementi legati a cosa nostra, ovvero con personaggi che a loro volta sono entrati in contatto con pregiudicati, anche della criminalità organizzata.E’ stata rilevata, infatti, in tutte le vicende nelle quali è stato coinvolto, una "vicinanza" del NICASTRI a noti esponenti mafiosi, che qualifica la condotta dello stesso, anche alla luce di numerosi pronunciamenti giurisprudenziali della Corte Suprema, sintomatica di una contiguità consapevole e costante agli interessi della associazione mafiosa, o di una disponibilità a rendersi all'occorrenza partecipe di condotte agevolatrici della predetta organizzazione. La valenza assunta dall’imprenditore trapanese nell’ambito di “cosa nostra” trova riscontro anche nell’interessamento alle vicende imprenditoriali del Nicastri dei noti boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo, come rilevano i “pizzini” rinvenuti in occasione del loro arresto. Il NICASTRI, nei cui confronti sono stati riscontrati, in passato, interessi anche all’estero, è stato pure coinvolto in alcune operazioni di polizia fra cui quella denominata “Eolo”, che ha svelato il coinvolgimento di cosa nostra nel lucroso affare della realizzazione delle centrali eoliche nella provincia di Trapani. Ha intrattenuto rapporti con soggetti della consorteria mafiosa del trapanese, molti dei quali ritenuti vicini a Matteo Messina Denaro. Nel corso delle indagini sono state rilevate, altresì, relazioni con le consorterie criminali operanti nel messinese, nel catanese ed anche con la ‘ndrangheta calabrese, in particolare con le ‘ndrine di Platì, San Luca ed Africo del reggino, aspetti questi che caratterizzano in modo significativo il contesto in cui l’aggressione patrimoniale odierna si inserisce. Il provvedimento di confisca oggi concluso, in assoluto il più consistente mai operato in Italia in applicazione della normativa antimafia come novellata dalle note leggi inserite nel “codice antimafia”, segue l’aggressione ad altri milionari patrimoni, sequestrati e confiscati a noti imprenditori nel campo della grande distribuzione, del ciclo del cemento e della sanità e, di fatto, sottrae smisurati capitali e credibilità a cosa nostra, incidendo in modo significativo anche nella gestione economica del Matteo Messina DENARO, che di quel territorio è considerato il dominus. La confisca record dei beni a Nicastri si aggiunge agli ultimi sequestri operati dalla DIA nel territorio trapanese, che stanno notevolmente impoverendo il potere economico del capo mafia latitante. L’odierno provvedimento contiene anche l’applicazione della misura di prevenzione personale nei confronti di Nicastri Vito, ai sensi dell’art.1 e segg. Della Legge 575/1965, la sorveglianza speciale con obbligo di dimora nel comune di residenza (Alcamo), per la durata di anni tre, sostenuta, altresì, anche dalla Procura della Repubblica di Trapani e dalla DDA di Palermo.Il Tribunale di Trapani ha disposto la confisca della totalità delle quote sociali e dei beni aziendali delle società, nonché dei beni mobili, immobili e delle disponibilità bancarie riconducibili al proposto ed al suo nucleo familiare, di seguito indicate:
43 tra società e partecipazioni societarie;
98 beni immobili (palazzine, ville, magazzini e terreni);
7 beni mobili registrati (autovetture, motocicli ed imbarcazioni);
66 disponibilità finanziarie (rapporti di conto corrente, polizze ramo vita, depositi titoli, carte di credito, carte prepagate e fondi di investimento).
Il valore complessivo dei beni confiscati ammonta a oltre 1 miliardo e 300 milioni di euro.
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