Biodiversità, il CRA ha riunito esperti e giornalisti per capire come comunicare la ricerca
- di
- in Ambiente
(PRIMAPRESS) - ROMA – Comunicare la biodiversità ma soprattutto capirla, acquisire quelle conoscenze diffuse che possono aiutarci a mantenere in vita la ricchezza naturale del pianeta con i nostri atti quotidiani. L’intento dell’evento “Comunicare la biodiversità: la sfida della ricerca, il ruolo dei media” è stato sostanzialmente colto dal dibattito tenuto nella sede del Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA) di via della Navicella a Roma. Un appuntamento definito un talk-show nel quale, effettivamente, gli ospiti hanno dato vita ad un dibattito a volte addirittura acceso, con spunti diversi e proposte operative, riempiendo di significato la scelta degli organizzatori.
Ospitati nella bellissima struttura del “Centro di ricerca per lo studio delle relazioni tra pianta e suolo”, sul colle Celio, sono intervenuti Cristina Latessa dell’Ansa, Rossella Gigli di Freshplaza, Annamaria Capparelli direttore di Agrisole, Barbara Cataldo di Rai Tre e Salvagente e Carlo Raspollini storico autore Rai. A fare da moderatore altro volto noto in Rai, Franco Poggianti, mentre per il CRA era presente il presidente Giuseppe Alonzo.
Il punto di partenza è stata ovviamente la vaghezza, se non la difficoltà di comprensione nel pubblico non specializzato, del termine stesso “biodiversità”. Soprattutto se si intende la biodiversità nella sua accezione agricola, intesa come disponibilità di diversi tipi di piante che l’uomo può coltivare e di cui si può nutrire. Si tratta tuttavia di un tema caldo, che va promosso e fatto conoscere in virtù dei rapporti di causa/effetto che lo toccano quando si parla di cambiamento climatico così come dell’aumento demografico, per finire con la tutela dell’ambiente in senso generale.
Numerosi i singoli contesti, con le relative problematiche, analizzati durante l’incontro, dall’olio con le sue ormai note provenienze estere al vino, passando per l’ortofrutta così pervasa di semi di provenienza internazionale e quindi omologati che in alcuni casi si può dire di mangiare le stesse verdure anche se coltivate in Italia piuttosto che in Germania. Numerose le presenze qualificate, sia del mondo della comunicazione sia di quello scientifico, con gli esperti del CRA in prima fila a raccontare il loro lavoro.
Il bilancio emerso è ovviamente in chiaroscuro, la situazione è critica e le modalità sul come superare questa fase di ignoranza diffusa non sono del tutto condivise. Dall’appello ai giornalisti a uscire dalle redazioni e visitare le aziende agricole che fanno biodiversità si è passati all’invito, rivolto in questo caso ai ricercatori, ad essere più comprensibili, a trovare elementi di comunicabilità più evidenti per i loro studi. A mettere un po’ tutti d’accordo, oltre alla condanna dei programmi di cucina che parlano di tutto tranne che della salubrità e della varietà degli ingredienti, la posizione di un rappresentante della stampa estera, spagnolo per la precisione, che ha invitato a puntare verso un progetto di educazione alimentare obbligatoria di massa prendendo atto che l'acquisto agroalimentare è ormai un atto politico. Come si sa l’immediatezza non è una dote della politica, anche quando si tratta di istruzione ma per velocizzare il tutto forse si potrebbe iniziare inserendo programmi specifici nelle materie già presenti, come la biologia per i licei scientifici. - (PRIMAPRESS)