Primo Reggiani a Max: "Moccia? Ai tempi non volevo accettare"
- di RED-CENTRALE
- in Cinema & Teatro
(PRIMAPRESS) - MILANO - Prossimamente al cinema con “Universitari” di Federico Moccia, Primo Reggiani si racconta in un’intervista esclusiva a MAX, da martedì 9 aprile in edicola, su iPad e online su max.gazzetta.it.
«Quando mi hanno proposto questo film all’inizio ho detto… anche no. Poi ho pensato che sarebbe stata la mia ultima possibilità di fare l’adolescente!… Moccia è una persona umile nonostante la botta di fama che ha avuto… ma di leggere tutti i suoi libri non se ne parla!».
Adolescenza da “zecca”: «Non sono mai stato un personaggio da libro di Moccia, un pariolino. Vengo da Roma Sud: ero una zecca, sinistroide, scaciato, tutto canne, piercing. Sono cresciuto con i Clash».
La tv con RIS: «Bella esperienza, ma sono contento sia finita. Troppi compromessi tra la realtà e quello che si vuol far arrivare alla gente. Sul set non possiamo essere duri con quelli che arrestiamo, ma… nella realtà succede; non possiamo dare uno schiaffo a nessuno, ma… io da piccolo di schiaffi dai carabinieri ne ho presi eccome».
L’infanzia in teatro: «Mia madre mi ha cresciuto da sola, doveva lavorare e voleva avermi con sé, quindi mi ha messo subito sul palco, anche muto. Recitava Medea e io ero lì a giocare con i pupazzetti, nascosto dalla scenografia… Passavo molto tempo con gli adulti, forse ero un bambino un po’ solo, ma non mi pesava».
Le donne: «Mi piace ascoltarle, è la sfida più affascinante per un uomo. Mi piacciono quelle che non dipendono dai loro uomini, mi piacciono perché sono tutte diverse e perché sono toste, soprattutto quelle giovani. Certo, non devono sembrare uomini…».
Gli amici: «La cosa che le donne ci invidiano di più è il nostro modo di essere amici, tra maschi. Insieme ci immergiamo nel nostro lato ragazzino e un po’ coglione…».
L’adrenalina: «La più grande passione sono le mie due Ducati. A 16 anni guidavo sotto età e senza patente, in sella mi sentivo immortale. Poi cadi e ti accorgi che immortale non sei, ma comunque ti rialzi e ricominci: ne hai bisogno, senti l’assuefazione, come per la recitazione. Anche se lo so che non sono Valentino…».
Il silenzio: «Sono cresciuto in una casa di attori, di strilloni, dove tutto è vissuto con passionalità, dai turni per il bagno alle cose serie. Da quando vivo solo ho scoperto il valore del silenzio». - (PRIMAPRESS)
«Quando mi hanno proposto questo film all’inizio ho detto… anche no. Poi ho pensato che sarebbe stata la mia ultima possibilità di fare l’adolescente!… Moccia è una persona umile nonostante la botta di fama che ha avuto… ma di leggere tutti i suoi libri non se ne parla!».
Adolescenza da “zecca”: «Non sono mai stato un personaggio da libro di Moccia, un pariolino. Vengo da Roma Sud: ero una zecca, sinistroide, scaciato, tutto canne, piercing. Sono cresciuto con i Clash».
La tv con RIS: «Bella esperienza, ma sono contento sia finita. Troppi compromessi tra la realtà e quello che si vuol far arrivare alla gente. Sul set non possiamo essere duri con quelli che arrestiamo, ma… nella realtà succede; non possiamo dare uno schiaffo a nessuno, ma… io da piccolo di schiaffi dai carabinieri ne ho presi eccome».
L’infanzia in teatro: «Mia madre mi ha cresciuto da sola, doveva lavorare e voleva avermi con sé, quindi mi ha messo subito sul palco, anche muto. Recitava Medea e io ero lì a giocare con i pupazzetti, nascosto dalla scenografia… Passavo molto tempo con gli adulti, forse ero un bambino un po’ solo, ma non mi pesava».
Le donne: «Mi piace ascoltarle, è la sfida più affascinante per un uomo. Mi piacciono quelle che non dipendono dai loro uomini, mi piacciono perché sono tutte diverse e perché sono toste, soprattutto quelle giovani. Certo, non devono sembrare uomini…».
Gli amici: «La cosa che le donne ci invidiano di più è il nostro modo di essere amici, tra maschi. Insieme ci immergiamo nel nostro lato ragazzino e un po’ coglione…».
L’adrenalina: «La più grande passione sono le mie due Ducati. A 16 anni guidavo sotto età e senza patente, in sella mi sentivo immortale. Poi cadi e ti accorgi che immortale non sei, ma comunque ti rialzi e ricominci: ne hai bisogno, senti l’assuefazione, come per la recitazione. Anche se lo so che non sono Valentino…».
Il silenzio: «Sono cresciuto in una casa di attori, di strilloni, dove tutto è vissuto con passionalità, dai turni per il bagno alle cose serie. Da quando vivo solo ho scoperto il valore del silenzio». - (PRIMAPRESS)