L'Ordine dei Giornalisti compie 60 anni. Il futuro per garantire le fonti contro le fake news
- di RED-ROM
- in Italia
(PRIMAPRESS) - ROMA - Si celebra oggi 3 febbraio la legge istitutiva dell’Ordine dei Giornalisti. Sono trascorsi, dunque 60 anni da quando la professione fu regolamentata da un provvedimento presentato nel 1959 dall’allora ministro di Grazie e Giustizia, Guido Gonella, lui stesso giornalista e segretario della Democrazia Cristiana.
Questa mattina un convegno alla Biblioteca nazionale di Castro Pretorio a Roma che vedrà il presidente del Consiglio nazionale Carlo Bartoli confrontarsi con Nordio, Flick, Picierno, Sisto e Barachini sulle sfide del futuro della professione. Spesso si riaccendono le polemiche sull’utilità dell’Ordine dei giornalisti ma di contro la diffusione dell’informazione online sta facendo crescere la preoccupazione delle notizie “bufala” non controllate da professionisti dell’informazione e con fonti non verificabili. Certo, proprio per l’avvento della digitalizzazione e delle nuove forme di fruizione dell’informazione, specie per i più giovani, c’è da rivedere qualcosa nell’ordinamento della professione giornalistica per adeguarlo alle mutate esigenze della civiltà multimediale. L’Ordine fu immaginato in epoca fascista come strumento di controllo politico dei giornalisti, ma non vide mai la luce. Soltanto negli anni sessanta si decise di istituirlo come ente pubblico non economico chiamato a certificare la natura professionale del lavoro giornalistico. Nel frattempo, però, con l’avvento della Rete, sono cambiati i modi di fare informazione e i tradizionali meccanismi di accesso alla professione giornalistica risultano in parte superati. Sui media tradizionali, e ancor più nel web e sui social, è possibile esercitare la libertà di manifestazione del pensiero senza essere iscritti all’Ordine e si sono create tante figure professionali nuove, che di fatto svolgono attività, molto simili a quelle dei giornalisti, di selezione e pubblicazione di contenuti, un po’ come accade in molti paesi esteri dove non esistono gli ordini professionali ma a fare la differenza è il “mercato dell’informazione” dove un reporter deve dimostrare di essere credibile per poter firmare sui grandi quotidiani. Resta, poi, uno dei tanti nodi da sciogliere sugli articoli online non riconducibili a testate giornalistiche registrate e sulle responsabilità di eventuali diffamazioni e la rimozione di contenuti lesivi o il diritto all’oblio troppo poco spesso esercitato. Tutti temi aperti che chiedono una soluzione. - (PRIMAPRESS)
Questa mattina un convegno alla Biblioteca nazionale di Castro Pretorio a Roma che vedrà il presidente del Consiglio nazionale Carlo Bartoli confrontarsi con Nordio, Flick, Picierno, Sisto e Barachini sulle sfide del futuro della professione. Spesso si riaccendono le polemiche sull’utilità dell’Ordine dei giornalisti ma di contro la diffusione dell’informazione online sta facendo crescere la preoccupazione delle notizie “bufala” non controllate da professionisti dell’informazione e con fonti non verificabili. Certo, proprio per l’avvento della digitalizzazione e delle nuove forme di fruizione dell’informazione, specie per i più giovani, c’è da rivedere qualcosa nell’ordinamento della professione giornalistica per adeguarlo alle mutate esigenze della civiltà multimediale. L’Ordine fu immaginato in epoca fascista come strumento di controllo politico dei giornalisti, ma non vide mai la luce. Soltanto negli anni sessanta si decise di istituirlo come ente pubblico non economico chiamato a certificare la natura professionale del lavoro giornalistico. Nel frattempo, però, con l’avvento della Rete, sono cambiati i modi di fare informazione e i tradizionali meccanismi di accesso alla professione giornalistica risultano in parte superati. Sui media tradizionali, e ancor più nel web e sui social, è possibile esercitare la libertà di manifestazione del pensiero senza essere iscritti all’Ordine e si sono create tante figure professionali nuove, che di fatto svolgono attività, molto simili a quelle dei giornalisti, di selezione e pubblicazione di contenuti, un po’ come accade in molti paesi esteri dove non esistono gli ordini professionali ma a fare la differenza è il “mercato dell’informazione” dove un reporter deve dimostrare di essere credibile per poter firmare sui grandi quotidiani. Resta, poi, uno dei tanti nodi da sciogliere sugli articoli online non riconducibili a testate giornalistiche registrate e sulle responsabilità di eventuali diffamazioni e la rimozione di contenuti lesivi o il diritto all’oblio troppo poco spesso esercitato. Tutti temi aperti che chiedono una soluzione. - (PRIMAPRESS)