Referendum giustizia del 12 giugno: conoscere i 5 quesiti per un voto consapevole
- di RED-ROM
- in Italia
(PRIMAPRESS) - ROMA - il 12 giugno i cittadini italiani maggiorenni dovranno esprimersi su cinque quesiti riguardanti il funzionamento della giustizia in Italia. Inizialmente, il comitato promotore dei referendum aveva presentato sei quesiti, ma la Corte Costituzionale ha ritenuto inammissibile quello che riguardava la responsabilità civile diretta dei magistrati (dunque, resta in vigore il divieto di citare in giudizio il magistrato autore dell’atto che si ritiene lesivo nel caso di richiesta di risarcimento dei danni connessi all’esercizio dell’attività giudiziaria). Affidare la riforma della giustizia ad un referendum non è il percorso migliore proprio perché è una questione così difficile e delicata per lasciare la scelta ai cittadini che non hanno strumenti sufficienti per un giudizio consapevole. Ma la politica non è stata in grado di arrivare ad una riforma ed ecco che si delega la popolazione a scegliere ma informandola poco sugli effetti del si o del no. Proviamo a scandagliare i 5 quesiti per favorire un voto consapevole,
Il primo quesito riguarda solo il decreto legislativo n.235 del 31 dicembre 2012, che disciplina le fattispecie di incandidabilità o decadenza dalle cariche elettive per chi abbia riportato condanne per reati contro la pubblica amministrazione, particolarmente gravi (terrorismo o mafia, ad esempio), oppure che prevedano una pena detentiva non inferiore a quattro anni (esclusi reati colposi). Nello specifico, la Severino sancisce l’impossibilità di candidarsi o il decadimento dalla carica per deputati, senatori e parlamentari europei che abbiano riportato condanne definitive per i reati di cui si parlava. Per gli amministratori locali, invece, si prevede la sospensione dalla carica in via automatica anche nel caso di condanna non definitiva. Incandidabilità, ineleggibilità e decadenza dalle cariche scattano anche nel caso di delitti commessi prima dell’entrata in vigore della Severino.
Il secondo quesito è un po’ più tecnico e verte su un argomento molto controverso: la frequenza e le modalità di utilizzo delle misure cautelari da parte della magistratura, senza dubbio uno dei più dibattuti istituti della giustizia penale. L’obiettivo dichiarato dei promotori dei referendum è quello di limitare l’applicazione delle cosiddette misure cautelari personali. Stiamo parlando delle misure che un giudice può ordinare, su richiesta del pubblico ministero, nei confronti di persone non ancora condannate in via definitiva, anche in attesa del primo giudizio.
Il terzo quesito riguarda Le funzioni dei magistrati si dividono in giudicante o requirente. In soldoni, lo stesso magistrato può ricoprire nel corso della sua carriera sia la funzione di giudice che quella di pubblico ministero. La legge consente fino a quattro cambi di funzione, anche in virtù del fatto che esiste un unico percorso di formazione per i magistrati, che dunque hanno le competenze per accedere a entrambi i ruoli. Ma che dicono i sostenitori del si? Con la vittoria del Sì al referendum, un magistrato dovrebbe scegliere se esercitare la funzione giudicante o quella requirente, in altre parole dovrebbe optare fra la carriera di giudice o quella di pubblico ministero. La questione è solo in apparenza semplice. La scelta di un percorso unico di formazione risponde alla necessità di preservare l’unità della magistratura sopra ogni cosa, in modo da non indebolirla come istituzione. Allo stesso tempo, sono in molti a ritenere che la possibilità di passare da un incarico all’altro determini un problema di credibilità e imparzialità di un magistrato, introducendo l’idea di una contiguità tra l’attività della parte che accusa e quella di chi giudica. Molti esponenti politici, oltre che gli stessi promotori del referendum, hanno più volte parlato del rischio che si crei “uno spirito corporativo tra le due figure” e “si comprometta un sano e fisiologico antagonismo tra poteri, vero presidio di efficienza e di equilibrio del sistema democratico”.
il quarto quesito: composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari, nonché funzioni dei membri laici. Si parla, essenzialmente, della valutazione dei magistrati, delle modalità con cui vengono giudicati e sanzionati. La legge stabilisce che a farlo siano organi ausiliari del Consiglio Superiore della Magistratura, appunto i consigli giudiziari (per la Suprema Corte e la Procura Generale, invece, tocca al Consiglio direttivo). La loro composizione è mista: ci sono membri togati (ovvero i magistrati eletti sul territorio, il procuratore generale e il presidente della Corte di Appello) e membri laici (professori universitari e avvocati), in un numero che dipende dalla grandezza del distretto giudiziario.
I membri laici dei consigli giudiziari e del Consiglio direttivo della Cassazione non possono votare per valutare i magistrati, si limitano a formulare dei pareri sul funzionamento degli uffici e a operare la vigilanza sul loro andamento. In sostanza, i magistrati sono valutati solo da altri magistrati, mentre ad avvocati e professori universitari spetta esclusivamente una mera funzione di supervisione. Se vincesse il Sì, invece, ai membri laici sarebbe consentito di partecipare alla valutazione dell’operato dei magistrati.
infine il quinto quesito che riguarda la candidatura di un membro del Consiglio Superiore della Magistratura (Csm). un membro togato del Consiglio Superiore della Magistratura. Ecco, quello che forse non saprete è che attualmente per candidarsi a essere eletto nel Csm, l'organo di autogoverno della magistratura, occorre presentare almeno 25 firme di colleghi magistrati.
Se vincesse il Sì, quest’obbligo scomparirebbe e non servirebbero firme per presentare la propria candidatura. I sostenitori del referendum ritengono questo passaggio essenziale per limitare il peso delle correnti, anche nella fase di individuazione dei candidati (secondo una lettura per la quale risulterebbe impossibile candidarsi per un magistrato che non goda dell’appoggio di un gruppo organizzato di colleghi). In aggiunta, le firme potrebbero essere interpretate come un sostegno esplicito prima del voto, ulteriore segnale dell’influenza delle correnti. Di contro, c’è chi fa notare che le firme costituiscono una base minima di sostegno alla candidatura, sottolineando l’improbabilità dell’elezione di un magistrato che non sia riuscito a raccogliere un numero minimo di sottoscrizioni dai colleghi.
- (PRIMAPRESS)
Il primo quesito riguarda solo il decreto legislativo n.235 del 31 dicembre 2012, che disciplina le fattispecie di incandidabilità o decadenza dalle cariche elettive per chi abbia riportato condanne per reati contro la pubblica amministrazione, particolarmente gravi (terrorismo o mafia, ad esempio), oppure che prevedano una pena detentiva non inferiore a quattro anni (esclusi reati colposi). Nello specifico, la Severino sancisce l’impossibilità di candidarsi o il decadimento dalla carica per deputati, senatori e parlamentari europei che abbiano riportato condanne definitive per i reati di cui si parlava. Per gli amministratori locali, invece, si prevede la sospensione dalla carica in via automatica anche nel caso di condanna non definitiva. Incandidabilità, ineleggibilità e decadenza dalle cariche scattano anche nel caso di delitti commessi prima dell’entrata in vigore della Severino.
Il secondo quesito è un po’ più tecnico e verte su un argomento molto controverso: la frequenza e le modalità di utilizzo delle misure cautelari da parte della magistratura, senza dubbio uno dei più dibattuti istituti della giustizia penale. L’obiettivo dichiarato dei promotori dei referendum è quello di limitare l’applicazione delle cosiddette misure cautelari personali. Stiamo parlando delle misure che un giudice può ordinare, su richiesta del pubblico ministero, nei confronti di persone non ancora condannate in via definitiva, anche in attesa del primo giudizio.
Il terzo quesito riguarda Le funzioni dei magistrati si dividono in giudicante o requirente. In soldoni, lo stesso magistrato può ricoprire nel corso della sua carriera sia la funzione di giudice che quella di pubblico ministero. La legge consente fino a quattro cambi di funzione, anche in virtù del fatto che esiste un unico percorso di formazione per i magistrati, che dunque hanno le competenze per accedere a entrambi i ruoli. Ma che dicono i sostenitori del si? Con la vittoria del Sì al referendum, un magistrato dovrebbe scegliere se esercitare la funzione giudicante o quella requirente, in altre parole dovrebbe optare fra la carriera di giudice o quella di pubblico ministero. La questione è solo in apparenza semplice. La scelta di un percorso unico di formazione risponde alla necessità di preservare l’unità della magistratura sopra ogni cosa, in modo da non indebolirla come istituzione. Allo stesso tempo, sono in molti a ritenere che la possibilità di passare da un incarico all’altro determini un problema di credibilità e imparzialità di un magistrato, introducendo l’idea di una contiguità tra l’attività della parte che accusa e quella di chi giudica. Molti esponenti politici, oltre che gli stessi promotori del referendum, hanno più volte parlato del rischio che si crei “uno spirito corporativo tra le due figure” e “si comprometta un sano e fisiologico antagonismo tra poteri, vero presidio di efficienza e di equilibrio del sistema democratico”.
il quarto quesito: composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari, nonché funzioni dei membri laici. Si parla, essenzialmente, della valutazione dei magistrati, delle modalità con cui vengono giudicati e sanzionati. La legge stabilisce che a farlo siano organi ausiliari del Consiglio Superiore della Magistratura, appunto i consigli giudiziari (per la Suprema Corte e la Procura Generale, invece, tocca al Consiglio direttivo). La loro composizione è mista: ci sono membri togati (ovvero i magistrati eletti sul territorio, il procuratore generale e il presidente della Corte di Appello) e membri laici (professori universitari e avvocati), in un numero che dipende dalla grandezza del distretto giudiziario.
I membri laici dei consigli giudiziari e del Consiglio direttivo della Cassazione non possono votare per valutare i magistrati, si limitano a formulare dei pareri sul funzionamento degli uffici e a operare la vigilanza sul loro andamento. In sostanza, i magistrati sono valutati solo da altri magistrati, mentre ad avvocati e professori universitari spetta esclusivamente una mera funzione di supervisione. Se vincesse il Sì, invece, ai membri laici sarebbe consentito di partecipare alla valutazione dell’operato dei magistrati.
infine il quinto quesito che riguarda la candidatura di un membro del Consiglio Superiore della Magistratura (Csm). un membro togato del Consiglio Superiore della Magistratura. Ecco, quello che forse non saprete è che attualmente per candidarsi a essere eletto nel Csm, l'organo di autogoverno della magistratura, occorre presentare almeno 25 firme di colleghi magistrati.
Se vincesse il Sì, quest’obbligo scomparirebbe e non servirebbero firme per presentare la propria candidatura. I sostenitori del referendum ritengono questo passaggio essenziale per limitare il peso delle correnti, anche nella fase di individuazione dei candidati (secondo una lettura per la quale risulterebbe impossibile candidarsi per un magistrato che non goda dell’appoggio di un gruppo organizzato di colleghi). In aggiunta, le firme potrebbero essere interpretate come un sostegno esplicito prima del voto, ulteriore segnale dell’influenza delle correnti. Di contro, c’è chi fa notare che le firme costituiscono una base minima di sostegno alla candidatura, sottolineando l’improbabilità dell’elezione di un magistrato che non sia riuscito a raccogliere un numero minimo di sottoscrizioni dai colleghi.
- (PRIMAPRESS)